Un pomeriggio di sport ed inclusione per sostenere le iniziative di reinserimento sociale della Fondazione di Don Gino Rigoldi, organizzata dall'associazione Amici della Nave. La Football Chance, la squadra formata da ex detenuti di San Vittore e del Beccaria, ha affrontato la Nazionale Magistrati in una partita terminata in pareggio: 1 a 1. Un momento di solidarietà che ha voluto richiamare l'attenzione sulle difficoltà di reinserimento degli ex detenuti.
domenica 9 novembre 2025
Un calcio alla discriminazione
domenica 2 novembre 2025
La prima volta in galera
Gennaio 2024, era una mattina, mi ricordo che mi arrivò la chiamata dal numero dei carabinieri. Lo conoscevo a memoria ormai, era il brigadiere che parlava, lo riconobbi subito, mi chiese di presentarmi in mediatamente in caserma per una notifica, io gli risposi che non potevo e che ero lontano, cosa che era vera, alla fine arrivammo ad un compromesso mi disse: “Russo prima delle 15:00 che poi me ne devo andare”. Lo presi in parola e mi presentai alle 14:55 da lontano lo vidi che stava già salendo in macchina per andare via, ma come mi vide scese subito esclamando: “mannaggia a te”. Mi portò in ufficio e mi disse “è arrivato il momento”, sapevo e non sapevo che sarebbe arrivato visto che poco tempo prima ruppi il beneficio dell’obbligo di firma, ma mai mi sarei aspettato un mandato di carcerazione per 3 mesi di definitivo rimanenti su un reato commesso in minore età. Dopo tutta la solita trafila di prassi all’ultimo il brigadiere fu chiamato di corsa dal maresciallo e tornò con un foglio, mi guardò, sorrise, e mi disse: “ti è andata bene anche sta volta”. Non ci potevo credere avevo altri 30 giorni per poter chiedere una misura alternativa alla detenzione, purtroppo ero conscio che non avrei potuto chiedere gli arresti domiciliari né da mia madre né da mio padre, quindi sfruttai quei 30 giorni per prepararmi mentalmente a quello a cui stavo andando in contro. Febbraio 2024, mattina presto, sentii il citofono di mia madre squillare e passi pesanti sulle scale, la porta della mansarda si aprì, ero sotto le coperte e d’istinto guardai in basso, vidi delle Timberland, alzai lo sguardo, ed erano loro brigadiere e vice, saltai giù dal letto e gli disse “sono pronto”. Beh, che ero pronto in un certo senso era vero, la valigia l’avevo già fatta, ma non ero pronto a vedere i miei nonni che mi aspettavano sulle scale piangendo per salutarmi, in automatico scoppiai anche io in lacrime. Fortunatamente questa volta non rimasi troppo tempo in caserma, feci giusto le impronte e aspettai che il brigadiere capii se mi avesse dovuto portare al Beccaria o a San Vittore. Purtroppo mi toccò il Beccaria, mi sembrava di stare nel bel mezzo di una giungla, porte che sbattevano, gente che urlava, gente che si tagliava, fortunatamente mi misero in un cella con un italiano, poco dopo capii che eravamo gli unici due della sezione e che ero il più grande di tutto l’istituto. Ogni giorno era una guerra, le prepotenze li sono all’ordine del giorno, ci provarono anche con me, appena arrivai, ma mi ribellai facendo capire che non era cosa. Fortunatamente passai li poco più di un mese e mezzo fino alla notte della rivolta dove prese fuoco quasi tutto l’istituto riducendo la capacità ospitativa del 50% da circa 90 posti a 45 nemmeno. Il giorno dopo mi chiamarono partente per bollate, corsi a chiamare mia madre dicendole che finalmente l’incubo era finito. Devo ammettere che ero preoccupato inizialmente, era la prima volta per me in questo mondo e non sapevo dove sarei andato finire, le guardie che mi portarono però mi rasserenarono dicendomi: “stai andando a stare meglio”. “sembra di stare in albergo là, e fidati che non a caso abbiamo scelto voi, siete quelli più tranquilli”. Provai a fidarmi ma di fatto filò tutto liscio. Rimanemmo una settimana al clinico in attesa di altri arrivi e l’ultima sera prima di essere trasferiti in reparto ci fecero partecipare al concerto di Lazza, Nitro e Jack the smoker, una esperienza indimenticabile, non mi sembrava vero di essere passato dall’inferno al paradiso in un solo giorno, ero al settimo cielo. La mattina seguente ci portarono in reparto al quarto, computer, forni, frigoriferi non mi sembrava di stare in galera, ma piuttosto in un hotel come mi diceva la guardia. Visto il periodo non ho avuto la possibilità di iscrivermi a nessun corso da seguire, decisi anche di non lavorare visto che avrei dovuto firmare un vero e proprio contratto di lavoro a differenza del Beccaria e percependo la naspi non mi sarebbe convenuto. Mi dedicai solamente all’ozio, pulizie ed incontri con dottoresse e psicologhe fino al giorno della mia scarcerazione.
Marco Russo
La mia adolescenza
La mia adolescenza non è stata semplice da affrontare. Ero molto giovane, la vita mi ha riservato tristezze e delusioni; sono cresciuto con mio nonno e mia nonna in un quartiere abbastanza malfamato di Milano, in Barona. Mi è sempre mancata la figura paterna e ho patito l’assenza di una madre, sono stato trascurato e questo non mi ha dato modo di condurre una vita normale. Non avendo una famiglia unita, mi è sempre mancata la materia prima cioè l’affetto, l’amore, il calore di una vera famiglia, anche se in parte ricevevo questo dai miei nonni. Tutto ciò ha portato a chiudermi in me stesso, un trauma che ha influito molto nel mio cammino. Di notte mi capita spesso di fare sogni dove intravvedo mia madre e mio padre che mi stanno vicino. Il viso di mio padre sembrerebbe avere una mia somiglianza e quando cerco intensamente di avvicinarmi per guardarlo mia madre si allontana e nello stesso momento scompare anche lui. Così mi sveglio ansioso e triste e mi chiedo come sarebbe stata la mia vita con due genitori uniti, un’emozione che purtroppo non ho mai avuto la possibilità di provare, mi sarebbe piaciuto molto, magari oggi non mi ritrovavo in questa situazione, essendomi affidato alla strada, a quelli che credevo amici, ma mi rendo conto ora che hanno solo sfruttato le mie disgrazie e debolezze, illudendomi per l’ennesima volta di aver trovato il bene che poi bene non è stato.
Gabriele Maglione
Bianca assassina
Si chiama cocaina, e non altro che una rovina: appena la provi non sei più lo stesso di prima. La bianca assassina, letale come un parassita entra nella tua vita e non si stacca più come una calamita sembra riempire il vuoto che hai ma è solo un’illusione sembra risolvere ogni problema ma non è lei la soluzione sembra farti divertire in realtà è una finta emozione che s’impossessa del tuo cuore e non ti fa più credere alle persone. Una vita in paranoia, con il sonno che non ti piglia e non trovi più una gioia. Ti dimentichi della famiglia, una vita notturna nella giungla senza battere ciglia, col fiato sospeso mentre fai fuori un’altra bottiglia e nel mentre pensi, nel mentre stai perdendo i sensi. Guardi gli altri felici e pensi che siano diversi quando in realtà è la tua vita che è piena di eccessi. La cocaina è un diavolo che fa brutti scherzi è bianca ma rende la tua vita nera, senza colori. Un tragitto pieno di cactus e spine dove non ci sono fiori. Una strega incantatrice che non ti porta altro che dolori. Non è una questione di soldi: o lasci stare o muori. E' una storia fatta di sogni infranti sulle panchine, di mille cadute e di mille sfide. La nostra storia è un film che capisce solo chi lo vive dove il drammatico inizio è l’inchiostro per scrivere il lieto fine.
Farouk Ennajeh
La mia prima carcerazione
La mia prima volta che mi hanno carcerato fu a Rimini, ma mi portarono subito a Bologna visto che a Rimini non c’era il carcere minorile. Avevo fatto la direttissima e mi ricordo che il giudice mi disse se volevo andare in comunità e io gli risposi di no quindi andai in carcere. Fu una batosta per me perché non pensavo di entrare in carcere visto che era la prima volta che commettevo un reato. In carcere facevo tanti corsi perché erano obbligatori, visto che in cella potevamo stare solo per dormire, tra l’altro si mangiava in mensa. Eravamo tutto il tempo occupati ma è quando ci chiudevano che accadevano le brutte cose: chi si tagliava o chi bruciava e distruggeva le celle e tutto questo per fortuna l’ho vissuto solo per 6 mesi. Nel 2006 c’è stato l’indulto e in quel carcere eravamo rimasti circa 5 persone non definitivi, più tardi ho saputo che i miei non volevano che usufruivo dell’indulto e quindi mi mandarono in una comunità rieducativa a Pavia in messa alla prova per farmi estinguere il reato e nel 2009 finii tutto ma per sfortuna quello era solo l’inizio perché ci sono state altre carcerazione e spero che questa sarà davvero l’ultima volta.
Cosimo La Catena