Quando sono entrato a San
Vittore non sapevo cosa mi aspettasse, pensavo fosse un carcere rigido, con le
celle chiuse tutto il giorno, senza la possibilità di parlare con nessuno,
senza qualcuno che avrebbe potuto avvisare la mia famiglia. Pensavo che sarei
stato dimenticato da tutti, come se fossi stato rinchiuso in una gabbia di cui
avrebbero buttato via la chiave. Una volta entrato però trovai un carcere in movimento. Mi portarono nel locale pronto soccorso dell’istituto, fui
visitato e feci il test per gli stupefacenti. Ero positivo. Fui mandato... (CONTINUA A LEGGERE)
ANDI ARAPI
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