venerdì 28 febbraio 2020

Un giornata in tribunale.

È stato presentato qualche giorno fa al Festival del Cinema di Berlino nella sezione Generation "Palazzo di Giustizia", un film di Chiara Bellosi, che racconta una giornata di ordinaria giustizia all’interno di un grande tribunale italiano, quello di Milano. Un giovane rapinatore sul banco degli imputati e un benzinaio che, avendo reagito alla rapina sparando, ha freddato il complice dell’imputato. Angelina e Luce da una parte, giovane madre e la figlia del rapinatore, e Domenica, figlia adolescente del benzinaio accusato di eccesso di legittima difesa, dall’altra. 
Storie quotidiane che si susseguono all’interno di quei palazzi, storie di vite talvolta spezzate per sempre, storie di sofferenza, pezzi di società. Storie che si intrecciano, ricerca di condivisione, di conforto, di dialogo, quel dialogo che è passato un po’di moda ultimamente, sostituito dai social media e dalle fake news. Il tribunale, la sua funzione, il suo potere e le decisioni che cambiano la vita delle persone. Dietro a ogni sentenza c’è quasi sempre un problema, una realtà che molti non conoscono, ma forse è meglio così …
Distribuito da Istituto Luce sarà in uscita in Italia il 26 marzo prossimo.
DN – SP 

Link a Coming Soon:

Link all’intervista di Rai Cinema:



lunedì 24 febbraio 2020

"Serve una giustizia dal volto umano”.

Repubblica ha recentemente pubblicato la prima intervista al Presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, realizzata da Liana Milella. Molti i temi trattati, a partire dall’ultima sentenza, in qualità di relatrice, che affronta il tema delle madri detenute con figli disabili. Durante il loro viaggio nelle carceri, i giudici costituzionali hanno conosciuto la realtà detentiva di persone che talvolta hanno problematiche più estreme del carcere stesso. La pena per il reato commesso deve essere certamente scontata, ma, come nel caso delle madri, avere la possibilità di coniugarla con l’assistenza a un figlio disabile è certamente una conquista di civiltà. Secondo i principi della nostra Costituzione, la funzione del carcere deve essere rieducativa, e la Corte garante della Costituzione, la Casa Comune di tutti. La giustizia deve essere giusta, con processi che non devono mai avere durata infinita, perché sarebbero una condanna preventiva per vittima e carnefice. La Presidente Cartabia, conclude affermando che la giustizia deve guardare al futuro, senza pietrificarsi sul passato e deve essere ispirata alla riconciliazione e non alla vendetta. È un piacere leggerla, specialmente per chi come noi ha potuto ascoltarla dal vivo più volte. Questa intervista merita, a nostro avviso, un serio momento di riflessione.
DN – SP 


Legge sulla Droga, tempo di riforme.

Il 28 e 29 febbraio si terrà a Milano la Conferenza Nazionale sulle Droghe, promossa dalla CGIL e da altre associazioni. Trent’anni fa, nel 1990, venne riformata la Legge sulla Droga, la numero 309. Secondo gli organizzatori della Conferenza, è giunto il tempo di riformarla, il tempo in cui è necessario investire molto di più in prevenzione anziché in repressione. Proprio in questi giorni il Ministro Lamorgese propone di alzare le pene per i piccoli spacciatori recidivi, ovvero per coloro che vengono trovati in possesso di modiche quantità di droga e pertanto rientrano nei casi previsti dal comma 5 dell’articolo 73, il così detto piccolo spaccio. Presumiamo che, con la proposta del Ministro, coloro che saranno recidivi verranno comunque sottoposti a custodia cautelare in carcere, perché i Comitati Provinciali per l’Ordine e la Sicurezza hanno segnalato un incremento del consumo di stupefacenti in età sempre più giovane. È davvero sempre possibile distinguere tra spacciatore e consumatore di piccole quantità? Il carcere con il suo costo estremamente elevato – circa €140 al giorno secondo il sito della Polizia Penitenziaria – è davvero il deterrente più incisivo? Ma in ogni caso, non sarebbe anche il caso di spendere del denaro vero anche in prevenzione, specialmente per i più giovani? Forse, nel tempo, si potrebbe anche risparmiare e non solo in ambito penitenziario... 
DN – SP 

venerdì 21 febbraio 2020

Navigare, verso il futuro.

Arrivai alla Nave, quando era da poco passata Pasqua, il calendario riportava la data 23 aprile. L'accoglienza fu ottima, mi presentai ai marinai della stanza 418 e, ancora un po emozionato, andai al corso del pomeriggio.
Enzo, mio compagno di stanza e peer supporter, mi illustrò il programma della settimana: era iniziata la “navigazione”, mi sarei curato, sarebbe stato faticoso, ma gli alibi erano finiti, ce l’avrei fatta.
Avevo vissuto in una bolla, lamentandomi con frasi del tipo: ”tanto la gente se ne frega” oppure “ma sì, va tutto bene, smetto quando voglio”
Capii nei giorni successivi che seppur recluso, per un gruppo di dottoresse ero una persona come le altre e come tale avevo il diritto di curare la mia dipendenza.
Vissi tutto ciò come un dovere verso me stesso, cominciai a mostrare il meglio, seppur con alti e bassi, dando prova tangibile delle mie capacità, tralasciando le chiacchiere e le fantasie che troppo spesso la sostanza alimentava a tal punto da autoconvincermi, senza in realtà raggiungere traguardi e bruciando quelli raggiunti tempo prima col duro lavoro.
Sono trascorsi circa dieci mesi, ho raggiunto delle mete e ne cerco instancabilmente altre. Ho ripensato, talvolta, alle mie vecchie abitudini. Sin da bambino ho affinato tecniche per eccellere nei furti, poi sono passato alle rapine, ho cercato a lungo in quelle azioni gli affetti mai avuti e perfino negati al mio cuore, senza rendermi conto che mi nutrivo di veleno.
Ora è tutto più chiaro, più limpido, per trovare ciò che cerco devo aprirmi al dialogo, esprimere il mio pensiero insieme a chi mi circonda e credo che Mino lo avesse capito e proprio per questo mi affidò sua figlia, sono certo che il suo gesto fu dettato dall’idea che responsabilizzandomi sarei migliorato, ancora una volta devo riconoscere che l’amicizia vera esiste.

Una mamma infallibile, a fin di bene.

Il Bene e il Male, ciò che è giusto e ciò che non lo è. Un dilemma che attanaglia l’umanità da tempo immemore. Si potrebbe discuterne per ore, anche giorni, ma dubito si arriverebbe a un dunque, visto che Albert Einstein sosteneva che tutto è relativo.
Quando ero piccolo c’era qualcuno che provvedeva per me, mi indicava puntualmente la strada giusta verso la retta via o quella che lei pensava fosse. Mia madre fungeva da “bussola personale”, per correggermi dalle mie continue deviazioni e riportarmi sul giusto cammino, ricorreva all’uso di oggetti mistici: la ciabatta di legno rotante, capace di arrivare in ogni dove, e il battipanni delle virtù perdute.
Leggendari oggetti che usava con grande abilità, pari a Diana, dea della caccia. Ancora oggi mi domando come caspita facesse a colpirmi in maniera così chirurgica, dando al divino oggetto traiettorie impossibili, che andavano contro le leggi della fisica.
Ancora oggi porto dentro me il vivido ricordo dei colpi ricevuti dall’infausto arnese…”ahi che male!”
Ma essendo incline nell’infrangere le regole e molto vivace, ella ricorreva alla soluzione finale, il famoso battipanni, che brandiva con la potenza di Zeus, scagliando folgori sul mio povero fondoschiena.
Sì, devo ammetterlo, la folgore faceva si che per lunghi periodi facessi il bravo o almeno limitassi le marachelle. Effettivamente i metodi usati erano un po' spartani e a tratti estremi, ma a quei tempi si usava così. Nonostante tutto, oggi dico grazie mamma, ti voglio un mondo di bene e come diresti tu, citando Dante: "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".

PS

Imparare ad attendere.

Sin da giovane per me, è risultato molto difficile riuscire ad attendere anche solo nelle situazioni reputate da me più banali, come fare la fila ad un ufficio postale, dove immancabilmente andavo diretto dietro al terzo della fila, chiedendo che ore fossero e infilandomi, pensando di essere il più furbo o di essere superiore a quei poveretti che, a mio avviso, aspettavano in modo educato. Così come fermo ad un semaforo rosso,  fuori Milano, guardando a sinistra o a destra che non arrivava nessuno, passavo e me ne andavo. Poi col tempo, la prima volta che fui carcerato e presi 5 anni, dentro di me la prima cosa che pensai, fu:” non passeranno mai”.
Alla fine sono passati: è proprio vero, il tempo passa e non si può fermare. Ricordo, appena uscito, che mi capitò di dover svolgere commissioni che immancabilmente, mi portarono in una fila ad attendere il mio turno Non so come mai, ma avevo perso l’arroganza di saltare la fila, con la più banale scusa per arrivare dietro al primo. Dentro di me ho pensato, cosa è cambiato in me? Mi sono rincoglionito o forse stranamente sono maturato o magari sono solo invecchiato. Man mano è passato il tempo e veramente con tanta fatica, ho cercato di lavorare su questa voglia di non aspettare e di voler subito tutto. La voglia e l’arroganza di volere soldi, successo e qualsiasi altra cosa che cercavo dalla vita. 
Pian piano cercavo con meno impulsività di attenuare, devo dire che andando avanti con gli anni, forse su questo un po’ ci ho lavorato, ma mi rendo conto che sicuramente ci dovrò lavorare ancora molto, così tanto che mi servirà ancora tempo , che forse fino a quando sarò vivo non mi basterà per avere una vera maturità interiore. Quando sono andato in India, scoprii che uno dei capisaldi più importanti dell’induismo è il karma, cioè lo specchio delle tue azioni che fai normalmente nel quotidiano e che a seconda di come ti comporti si riflettono sulla tua anima, in parole povere tutto ciò che fai in positivo e facendo del bene, ti ritorna esattamente come quello che fai in negativo facendo del male. In pratica, quello che semini raccogli e di conseguenza ti ritorna. Attendere insomma, può voler dire tante cose che hanno innumerevoli sfaccettature, che forse possono non dire niente, ma anche dire che non è mai troppo tardi per cambiare, il nostro pensiero e il modo di comportarci.

FC

Pensieri in libertà.

La Giustizia
In questo mondo così grande, perché l’egoismo si espande? 
Se tutti siamo uno ed uno siamo tutti, perché i belli li guardiamo come se fossero brutti e sulla testa dei deboli siamo seduti.
Forse sarà che pensiamo, che non abbiamo conseguenze.
I nostri frutti, se io sono te  e te sei me…perché mi tratti come Stefano Cucchi, non sapendo che sotto lo sguardo di Dio siam caduti.


Il Tempo
La mia domanda è cosa è il tempo?secondo me è qualcosa che ha fatto Dio per calcolare ma non per giudicare. Il tempo è un momento profondo come un sentimento, come il vento, non lo vedi ma lo senti, soprattutto quando ti specchi e ti accorgi che sei più vecchio, tante cose conosco del tempo, senza saper cosa sia.



La Paura
Più in la nel cielo, nell’aldilà, soltanto mi chiedo chi ci sarà.
Un leggero equipaggio, per un così lungo viaggio, ma sento che porto quello che serve nel bagaglio. Perché la missione è finita, quando ho colpito il messaggio e se non fosse così, sarei destinato a ripetere lo stesso disagio. Dio dammi forza, per diventare un uomo di coraggio e fare quello che è necessario.


ML

Sovraffollamento carceri, ecco una soluzione.

Da indiscrezioni trapela uno scritto, chissà, forse sbirciato in fretta da un giornalista o riportato da un magistrato alla stampa. Si legge: “situazione a rischio per reclusi e agenti, difficoltà dentro e fuori dalle sbarre.” E ancora “finchè non si affronta una riforma carceraria, i problemi restano.” Ora veniamo al dunque, senza troppi giri di parole, ogni educatore all’interno delle carceri, ha di media 100 reclusi da seguire, e questo in condizioni normali. Questo ci porta al secondo punto: siamo sovraffollati. In alcuni casi, come a Torino, i detenuti sono un terzo in più della capienza massima, troppi per riuscire a gestire le pressioni a cui ogni individuo, che sia detenuto o agente, possa affrontare senza un adeguato sostegno psicologico. I risvolti sono tristemente noti, indagati dalla Procura negli ultimi mesi: pestaggi, tentati suicidi e autolesionismo. Nelle carceri italiane il sovraffollamento medio è del 119% e gli eventi critici aumentano sempre più. La lista di ciò che comporta la problematica in questione , risulta lunga e noiosa, quindi in breve riassumeremmo così: il carcere, che dovrebbe risultare l’estrema ratio è sempre più la “prima scelta”, diremmo che funge un po’ come narcotico delle coscienze. Immagazzinando anime dentro a stanze chiuse al mondo esterno, rimandiamo solo il problema. Uno studio di Antigone e Sesta Opera, riporta risultati sorprendenti per quanto riguarda la riduzione della recidiva, per quei soggetti che grazie alla magistratura garantista, scontano all’esterno degli istituti di pena la condanna, una sorta di giustizia riparativa ancor poco conosciuta dall’opinione pubblica. Vorremmo rassicurare i più forcaioli: non si tratta di un metodo premiale, “tanto più rubi, tanto prima esci”, bensì  di un ragionamento logico, secondo il quale risarcisci l’insieme dei danni arrecati alla società, con servizi  lavorativi utili e nel contempo risvegli la coscienza individuale e collettiva. Auspichiamo che a breve si estenda su tutto il territorio questa grande opportunità.
AFG

lunedì 17 febbraio 2020

"L'arte di ... accontentarsi" sul nuovo numero de l'Oblò

E' uscito il nuovo numero dell'Oblò, il mensile dei detenuti del reparto La Nave di San Vittore. E' quasi interamente dedicato a un dilemma che riguarda tutti noi: è meglio accontentarsi di ciò che si ha, o è meglio coltivare delle ambizioni che spingono al miglioramento? Più che provare a rispondere abbiamo raccolto e scritto le nostre esperienze.
Il nuovo numero è distribuito gratuitamente nelle librerie Feltrinelli di Milano. Oppure è scaricabile nella versione in pdf CLICCANDO QUI

venerdì 14 febbraio 2020

Perché la vita è movimento.

Non concediamoci il lusso di sederci troppo a lungo, non concediamoci la possibilità di restare fermi. 
Muoviamo i nostri passi, sicuri delle nostre gambe che ci portano e ci sorreggono, solidi sui nostri piedi che sopportano il peso del nostro corpo. 
Lasciamoci trasportare dalla vita che ci attraversa la strada e cogliamone la bellezza. 
Ripercorriamo i passi complessi della nostra vita ridandogli sempre un nuovo significato. 
Non diamoci per scontati, per non scoprirci alla fine dei nostri giorni, come esseri che non hanno vissuto. 
Condividiamo le cicatrici incise sulla nostra pelle e raccontiamo dei nostri sorrisi più veri perché non esiste gioia più sottile e pura dell’emozione che ci attraversa il cuore e arriva dritta alle nostre menti. 
Affrontiamo le difficoltà insieme, prendiamoci per mano e continuiamo a camminare, concedendoci anche il privilegio di fare ogni tanto qualche passo indietro che possa essere semplicemente un trampolino con una rincorsa più lunga per poter saltare nel mare della vita. 
La nostra vita. 
Ludovica – Comunità "Il Gabbiano" 2020

Telefonate. Qualcosa si muove.


Qualche mese fa con alcuni altri parlamentari siamo stati invitati ad un incontro a San Vittore con le persone detenute del reparto chiamato “la nave”, quello amministrato dall’azienda sociosanitaria territoriale degli ospedali San Carlo e San Paolo. Abbiamo per due ore ascoltato richieste e testimonianze sulla condizione carceraria. In particolare ci hanno raccontato dell’assurdità di un regolamento penitenziario che consente ai detenuti solo una telefonata a settimana, senza alcuna registrazione e, giustamente solo verso pochi numeri autorizzati. Non ci sono ragioni, con questi limiti, per non consentire la possibilità di avere più contatti con le famiglie. Certamente, poter salutare i figli la mattina prima che vadano a scuola o avere notizie quotidiane della salute dei propri genitori anziani e malati, aiuterebbe ad alleviare le sofferenze di persone detenute e loro famigliari. Per questo abbiamo presentato un progetto di legge per consentire ai detenuti comuni di poter telefonare ai propri affetti una volta al giorno. È una proposta di umanità che aiuterebbe a migliorare la vita in carcere. Il disegno di legge porta anche le firme della senatrice Riccardi, che era con me a quell’incontro, e dei senatori Cucca e Grasso, ma, in realtà nasce da una proposta che viene dai ragazzi della Nave e a loro va dato atto.
PDL COLLOQUI TELEFONICI DEI DETENUTI
Relazione:
L'articolo 39 del regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, prevede che i condannati e gli internati possano essere autorizzati, una volta alla settimana, dalle autorità competenti, alla corrispondenza telefonica con i congiunti e conviventi, ovvero, allorché ricorrano ragionevoli e verificati motivi, con persone diverse dai congiunti e conviventi. La durata massima di ciascuna conversazione telefonica è di dieci minuti. Le suddette disposizioni si applicano anche agli imputati. Il presente disegno di legge si inserisce in un quadro di proposte normative che, da molti anni, mirano a dare adeguato riconoscimento al diritto della persona detenuta a mantenere relazioni affettive. Secondo quanto stabilito da numerosa giurisprudenza costituzionale, infatti, eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti possono essere imposti solo se risultano essere strettamente necessari all’esigenze di ordine e sicurezza correlate allo stato detentivo. In caso contrario acquisterebbero “unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale”, come tale incompatibile con la finalità rieducativa sancita dall’articolo 27 della Costituzione (sentenza n. 135 del 2013 e sentenza n. 301 del 2012). La sentenza della Corte Costituzionale n. 26 del 1999 - successivamente richiamata dalla sentenza n. 301 del 2012 sul diritto dei detenuti all'affettività e alla sessualità - stabilisce che "(...) L'idea che la restrizione della libertà personale possa comportare conseguenzialmente il disconoscimento delle posizioni soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all'organizzazione penitenziaria é estranea al vigente ordinamento costituzionale, il quale si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti. I diritti inviolabili dell'uomo, il riconoscimento e la garanzia dei quali l'articolo 2 della Costituzione pone tra i principi fondamentali dell'ordine giuridico, trovano nella condizione di coloro i quali sono sottoposti a una restrizione della libertà personale i limiti a essa inerenti, connessi alle finalità che sono proprie di tale restrizione, ma non sono affatto annullati da tale condizione. (...)." Inoltre, nel documento finale degli Stati Generali dell'Esecuzione Penale elaborato dal Ministero della giustizia nel 2016, si legge: "Uno dei bisogni maggiormente avvertiti dalla popolazione detenuta (...) è quello di migliorare la qualità e la quantità dei contatti con i familiari." Nel documento si propone "una maggiore liberalizzazione dei colloqui telefonici. In tale prospettiva, che presupporrebbe l’utilizzo generalizzato dei telefoni “a scheda”, andrebbe congruamente aumentato sia il numero sia la durata dei colloqui attualmente consentiti. (...)". Nel riconoscere l'importanza del diritto soggettivo all'affettività delle persone detenute, il presente disegno di legge modifica l'articolo 39 del citato regolamento e prevede che le stesse possano essere autorizzate alla corrispondenza telefonica una volta al giorno per una durata massima di venti minuti, superando così quelle che appaiono ingiustificate restrizioni alla possibilità di mantenere relazioni affettive.
Testo del Disegno di Legge:
Art. 1
1. All'articolo 39 del regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, primo periodo, le parole "una volta alla settimana" sono sostituite dalle seguenti "una volta al giorno";
b) il comma 3 è abrogato; c) ai commi 4 e 5, le parole "ai commi 2 e 3" sono sostituite dalle seguenti "al comma 2";
d) al comma 6, le parole "dieci minuti" sono sostituite dalle seguenti "venti minuti".
Franco Mirabelli – Senatore della Repubblica

Carceri e sessualità.

L‘Agenzia ADN Kronos, in data 05/02/2020, ha pubblicato la notizia che la Commissione Affari Istituzionali del Consiglio Regionale, presieduta da Giacomo Bugliani (Pd), ha licenziato con parere favorevole a maggioranza una proposta di legge al Parlamento, primo firmatario Leonardo Marras, capogruppo Pd, con l'obiettivo di dare uno sbocco normativo al dibattito politico e legislativo sul tema del riconoscimento del diritto soggettivo all'affettività e alla sessualità delle persone detenute. I consiglieri di Forza Italia e Lega Nord hanno espresso parere contrario. 
Quando abbiamo intrapreso in reparto la discussione sul tema delle telefonate in carcere, ci eravamo chiesti se sarebbe stato il caso di affrontare contestualmente anche l’argomento della sessualità, ma lo avevamo rimandato a un secondo momento. La Regione Toscana lo ha fatto per noi. È giusto privare chi si trova detenuto di quella parte della sfera affettiva che si chiama sessualità? In molti stati è permesso di poter trascorrere alcune ore, così dette intime, unitamente al proprio partner. Il Sappe – sindacato di Polizia Penitenziaria – critica la proposta di Legge perché asserisce che le carceri non devono diventare postriboli e gli agenti dei guardoni di Stato. In realtà nulla di tutto questo accadrebbe perché il personale si limiterebbe a consentire l’accesso e la successiva uscita da una stanza, dopo aver eseguito le procedure di perquisizione che già oggi avvengono per i normali colloqui visivi. Il sindacato sottolinea poi come nel 2019 ci siano stati numerosi atti di autolesionismo, tentati suicidi, colluttazioni e ferimenti, e che siano necessari interventi da parte del legislatore. Non possiamo che concordare, e siamo convinti che sia necessario investire più risorse sul trattamento penitenziario per non lasciare molte persone detenute sole con se stesse e la Polizia Penitenziaria a svolgere compiti che esulano dalle loro funzioni. Le stanze dell’affettività sicuramente contribuirebbero a allentare le tensioni detentive.
FC – DN –  SP
Articolo ADN Kronos:

Articolo Leggo:

Dalle carceri alle vostre case.

Il Ministero della Giustizia ha pubblicato, sul proprio sito, una vetrina di prodotti realizzati all’interno delle carceri italiane, che possono essere acquistati  attraverso i link ai siti dei produttori.  Abbigliamento, alimenti, arredamento, bigiotteria, cosmetica, giocattoli, pelletteria, piante e tessili. Dalle carceri del Nord sino a quelle del Sud. Vale la pena di dare uno sguardo al seguente link:
DN - SP