mercoledì 30 ottobre 2019

Diario di Bordo: gli affetti, la parte migliore di noi


L’Oblò di ottobre è dedicato alle problematiche inerenti le telefonate in carcere. Oggi chi si trova detenuto può effettuare una telefonata a settimana ai propri cari, quindi circa quattro al mese. Nel caso di genitori con figli inferiori ad anni 10, previa richiesta, è possibile farne otto. Negli altri stati europei tali limitazioni sono quasi del tutto assenti e ciascuno è libero di telefonare, mediante una scheda telefonica personale, tutte le che volte che vuole senza limiti di tempo e quantità.
Siamo quasi nel 2020, alle soglie della rivoluzione comunicativa del 5G, ma in carcere, come spesso accade, il tempo si è fermato. Siamo convinti che sia possibile mantenere vivi e costanti i rapporti con le proprie famiglie, con i propri figli, senza esautorare il carcere della propria funzione. La pena per il reato commesso deve essere scontata esclusivamente dal condannato. Perché dover punire anche chi non ha commesso il crimine, perché porre un limite agli affetti, a quella parte migliore delle persone che potrà essere in futuro àncora della salvezza, stimolo di cambiamento delle condotte di vita?
Non chiediamo rivoluzioni digitali carcerarie, ma solo, attraverso le infrastrutture tecniche già esistenti, di voler dare quei quattro click di mouse al software gestionale telefonico per eliminare i vincoli attualmente in essere. Sarebbe di giovamento a parecchie persone e soprattutto a quei molti bambini che, spesso, non capiscono come mai i genitori sono sempre al lavoro…
AA&SP

martedì 22 ottobre 2019

Ci hanno fatto tornare coi piedi per terra

Ecco, mi trovo qui come ogni sera, seduto sulla tazza del cesso della mia cella, a scrivere lettere a mia figlia, alla mia compagna, ad amici, a parenti. Ma in questa sera così stellata e con i mille difetti del freddo d’ottobre mi trovo a scrivere pensando all’incontro di questa mattina con i ragazzi e le ragazze (anzi più ragazze) dei B.Live che sono tornati a trovarci. Come a maggio dell’anno scorso abbiamo allestito una vera propria redazione giornalistica: noi dell’Oblò – giornale del reparto di cura delle dipendenze del carcere di San Vittore – e i ragazzi del Bullone – giornale dell’associazione B.Live che riunisce ragazzi aggrediti da malattie gravi.
Sorrido con un po’ di emozione nel ricordo di quelle ore... (CONTINUA A LEGGERE)
ALE ARISIO 

 Vivere una vita migliore: è tutto ciò che ci aspetta
L’incontro avvenuto le ragazze e i ragazzi del Bullone è stato veramente molto toccante e di estrema riflessione. Quello che è emerso da ambo le parti è la consapevolezza di avere una malattia. Noi per curiosità o per leggerezza ci siamo addentrati in una strada che alla fine è diventata un tunnel da dove è veramente difficile uscire, per la dipendenza dalle sostanze, psichica e fisica. Dall’altra parte è sopraggiunta una malattia non provocata... (CONTINUA A LEGGERE)
FEDERICO CHIODI

Lacrime e sorrisi, la magia dell’incontro coi ragazzi del Bullone

Un paio di giorni fa abbiamo ricevuto la visita di un gruppo di persone, giovani e meno, che compongono la redazione di un giornale, Il Bullone. Questi giornalisti sono delle persone straordinarie, e sono tutti malati, anche terminali. Penso che le due ore passate insieme siano state di forte intensità emotiva, incredibilmente sbalorditive, anche se ...(CONTINUA A LEGGERE)
 LORENZO ZANOCCOLI

giovedì 17 ottobre 2019

Corte Costituzionale e detenuti: quasi amici


Martedì 15 ottobre la Corte Costituzionale è tornata in carcere e ci tornerà ancora poiché il 15 ottobre è stato confermato e addirittura consolidato come data di un appuntamento fisso annuale tra i detenuti di San Vittore e il più importante collegio giudiziario italiano.
Il giudice Francesco Viganò ha fatto ingresso nella rotonda del carcere alle 15, e l’Inno di Mameli cantato da tutti i presenti ha dato il via all’incontro, che fa seguito ai precedenti con la vice Presidente della Corte, la professoressa Marta Cartabia che proprio un anno fa venne a trovarci (CONTINUA A LEGGERE)
ANTONIO GALLARELLO e STEFANO PIVA
 

Pensavo fosse una gabbia, invece era San Vittore

Quando sono entrato a San Vittore non sapevo cosa mi aspettasse, pensavo fosse un carcere rigido, con le celle chiuse tutto il giorno, senza la possibilità di parlare con nessuno, senza qualcuno che avrebbe potuto avvisare la mia famiglia. Pensavo che sarei stato dimenticato da tutti, come se fossi stato rinchiuso in una gabbia di cui avrebbero buttato via la chiave. Una volta entrato però trovai un carcere in movimento. Mi portarono nel locale pronto soccorso dell’istituto, fui visitato e feci il test per gli stupefacenti. Ero positivo. Fui mandato... (CONTINUA A LEGGERE)
ANDI ARAPI