Alla nascita della bambina, notai subito inella mia compagna un cambiamento. Iniziava a palesarsi per ciò che era, una persona egoista. Inizialmente non riuscivo a credere che fosse la stessa donna di prima, credevo che il suo cambiamento fosse dovuto alla difficoltà della gravidanza. A parole era la donna più volenterosa e capace del mondo, ma i fatti dimostravano il contrario. Io lavoravo tutto il giorno per provvedere al fabbisogno della famiglia e lei, la sera, mi accoglieva come se non avessi importanza, si faceva trovare già in pigiama e a volte la cena dovevo prepararmela da solo. Insomma non faceva più niente, con la scusa della bambina, si sentiva in diritto di fregarsene di tutto eppure non aveva un granché da fare, mia figlia era una neonata abbastanza tranquilla, non ci faceva neanche alzare di notte a parte i momenti della poppata. Passarono così quasi due anni, tra litigate giornaliere, offese reciproche e falsi sorrisi davanti alle altre persone, insomma stavo con lei solo perché c’era mia figlia, finché un giorno ho deciso: non si può andare avanti in questa maniera, mi decisi così a fare un grosso passo indietro, tornando a vivere in casa dei miei genitori. Il ritorno fu per me traumatico, orgoglioso come sono, non riuscivo ad accettare questa “sconfitta”. Iniziai così a provare per questa donna un rancore profondo. Vedevo la madre di mia figlia, non più come la donna che mi aveva regalato la gioia più grande della mia vita, ma come colei che mi aveva ingannato, usando la bambina con subdoli ricatti per chiedere sempre di più a livello economico. Tra una litigata e l’altra, abbiamo raggiunto una specie di accordo, dove ci siamo ripromessi di non discutere più davanti alla bambina, (anche telefonicamente) per farla stare più tranquilla, per non destabilizzare l’equilibrio di mia figlia. Grazie a Dio mi ama tantissimo e i tentativi della madre di staccarla da me affettivamente non hanno mai funzionato e finalmente adesso sembra che si sia rassegnata. Il rancore che covavo e probabilmente ancora provo nei confronti di questa donna, cresceva dentro di me giorno dopo giorno. Io continuavo a vivere dai miei genitori con i quali già non andavo d’accordo e mi sentivo come una pentola a pressione sul punto di esplodere. Per uscire da questa trappola rincominciai a bere, dopo tutto è meglio anestetizzare il dolore piuttosto che rischiare di fare del male a qualcun altro. Beh, ci misi poco affinché questo sistema tornasse a essere una vera e propria dipendenza dall’alcool. I problemi e le responsabilità rimanevano uguali ma preferivo non vederle piuttosto che affrontarle. Per me, che sono una persona fragile e orgogliosa allo stesso tempo, il rancore si è rivelato essere un vero e proprio veleno che mi ha riportato alla dipendenza e all’autodistruzione. Mi chiedo, perché non riesco a perdonare e ad accettare le cose come stanno? È stato più semplice cedere al rancore e farmi divorare lentamente. Non mi resta altro che pregare affinché riesca ad acquisire alla fine la vera forza, che spazzerebbe via tutti i sentimenti e le emozioni negative: il perdono.
Daniele Romeo
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