lunedì 13 ottobre 2025

Carceri, parla Luigi Pagano

 


Luigi Pagano è stato nominato garante delle carceri del Comune di Milano, dopo essere stato direttore di San Vittore dal 1989 al 2004, oltre che provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

 

Pagano, in carcere a San Vittore i detenuti muoiono, per droga o perché si suicidano.

Fortunatamente sono rari i casi di overdose, ma si tratta di segnali di una situazione arrivata al limite. E’ un carcere antico, non adeguato alle esigenze moderne. E’ stato costruito nel 1879, e dal  punto di vista strutturale potrebbe anche essere considerato buono, ma è completamente inadeguato per come si intende la pena oggi, secondo la Costituzione e l’ordinamento penitenziario

Cioè?

E’ una struttura fatta di spazi chiusi, mentre ci vorrebbero quelli aperti, per fare uscire le persone dalle celle per partecipare all’attività “trattamentale”, lavoro, studio, creatività, come si fa nel carcere di Bollate. Ma questo oggi è impossibile nella situazione di sovraffollamento completo di San Vittore, con oltre 1100 detenuti, fra i quali la stragrande maggioranza è fatta di persone in attesa di giudizio, arrestati per reati minori, solo perché in strada non li si vuole vedere.

Comunque a San Vittore, anche se non ci sono orti e laboratori, ci sono tante attività di volontariato, come il reparto La Nave, dove si aiutano proprio i detenuti con problemi di dipendenze.

Certo, si fanno cose molto belle e utili anche a San Vittore, alla Nave in particolare. Ma gli spazi non bastano, i Decreti sicurezza hanno riempito le celle: hanno trasferito in carcere un problema di ordine pubblico. Ma così, il sistema carcere non regge, si crea un imbuto, nel quale è impossibile riuscire a star dietro a tutto e lavorare con i detenuti per permettere loro di ripensarsi in un domani diverso. Bisogna pensare alla dignità di chi vive recluso e anche di chi lavora in queste strutture. Pure il personale dellla polizia penitenziaria è in grande stress e ci sono suicidi anche fra gli agenti.

Ma la droga in carcere non dovrebbe esserci: come entra?

Purtroppo ci sono diverse strade. Il carcere non è un sistema chiuso, vive di comunità, ci sono i colloqui, passano tantissime persone, addetti ed operatori di ogni tipo, ogni giorno. E’ cpme un grande sistema di vaso comunicanti e qualcosa per forza sfugge. Controllare tutto è impossibile: Rendere le carceri completamente impermeabili non è fattibile, anche facendo perquisizioni molto accurate.

A parte la droga, in posti come San Vittore la disperazione è altissima. Ci sono i suicidi, i volontari raccontano di ondate continue di nuovi arrivi, ragazzi giovanissimi, stranieri, abituati alla violenza, con i quali nel contesto carcerario è difficle intraprendere qualsiai tipo di discorso, per non parlare del rapporto con la polizia penitenziaria che è spesso di scontro, provocatorio.

Sì, infatti, in queste condizioni , la logica oramai è quella di tenerli chiusi nelle celle, e non dipende da scelte che si prendono a San Vittore. Il mio è un discorso di carattere generale.

Creare condizioni di sovraffollamento sopra ogni limite comporta la compressione degli spazi, della possibilità di occuparsi di chi è più fragile. Una situazione di invivibilità che aumenta le tensioni, il numero di incidenti, le occasioni di prevaricazione. Così basta una scintilla per far scoppiare tutto, per far saltare equilibri ed emozioni.

C’è anche un problema di organico?

Mancano non solo gli agenti ma anche i medici, gli educatori e gli specialisti. Chi vive dentro a San Vittore inevitabilmente finisce per sentirsi totalmente abbandonato, senza alcuna possibilità di sana socializzazione o di attività all’esterno della cella. Le case circondariali come San Vittore, Poggioreale e Regina Coeli sono le più affollate e quelle dove si riesce a fare meno per i benessere minimo vitale dei detenuti, che peraltro sono “presunti colpevoli”, doppiamente penalizzati, perché stanno nei penitenziari peggiori e più affollati pure non essendo ancora stati giudicati colpevoli in via deifinitiva.

Come si potrebbe rimediare a questi problemi così complessi?

Intanto, avendo il coraggio di pensare a provvedimenti come l’indulto e l’amnistia per i reati minori: ci vuole una misura deflattiva che riduca i numeri. E poi bisogna ripensare i Decreti che, per togliere dalla strada delle persone che danno fastidio, puntano sulla politica penale invece che su quella sociale.

 

Intervista di Zita Dazzi, La Repubblica

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