lunedì 16 dicembre 2019

Gestione delle carceri. Comandanti o dirigenti?

È al vaglio delle rispettive commissioni parlamentari uno schema di decreto legislativo che prevede, tra le altre cose, la rimodulazione del rapporto di subordinazione del personale di Polizia Penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari nei confronti del direttore dell’istituto penitenziario. Attualmente è di natura gerarchica, diventerebbe di carattere funzionale qualora il comandante di reparto rivestisse la qualifica di primo dirigente. Diverse le opinioni in merito. Il sindacato dei direttori penitenziari – SiDiPe – dopo aver partecipato il 6 novembre scorso a una riunione indetta dal capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha sottolineato che, allo stato, non si rinviene nell’ordinamento giuridico una esatta e positiva definizione del concetto di rapporto di subordinazione funzionale e che tale norma, qualora introdotta, potrebbe creare situazioni di confusione e, al limite, anche di conflitto di competenze, oltre che di una pericolosa alterazione degli equilibri gestionali in un ambiente come il carcere, dove ossequiando quanto all’Art. 27 della Costituzione, devono trovare bilanciamento le esigenze di ordine, della sicurezza e della disciplina e quelle del trattamento rieducativo e della risocializzazione. Secondo il sindacato, il direttore penitenziario è figura professionale terza, non poliziotto, né pedagogo, posto in posizione di sovra ordinazione gerarchica rispetto alle altre operanti in carcere.
I Magistrati di Sorveglianza, tramite il loro coordinamento nazionale, il Conams, condividono la necessità di riorganizzazione della Polizia Penitenziaria, nell’ottica di migliorarne la progressione in carriera e di qualificarne l’attività. Apprezzano la fattiva collaborazione della stessa negli uffici e nei Tribunali di Sorveglianza, tuttavia esprimono preoccupazione in merito alle disposizioni finalizzate a mutare il rapporto fra i direttori di istituto e i comandanti di reparto. Il Conams segnala che le attuali criticità nella gestione degli istituti appaiono collegate alle scoperture di organico dei direttori, dei funzionari giuridico pedagogici e della Polizia Penitenziaria, unitamente alle carenti offerte trattamentali e al crescente sovraffollamento. 
Secondo l’osservatorio delle camere penali italiane significherebbe “far regredire il sistema penitenziario a un’idea del carcere esclusivamente punitiva, annullando la figura del Direttore, che possa mediare tra le esigenze trattamentali e quelle di sicurezza”.
Il sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, scrive che non è davvero dato a comprendere cosa lamentino i dirigenti penitenziari, che nel sistema penitenziario italiano – finora gestito dai direttori penitenziari – oggi si registrano gravi episodi di violenza e di aggressione agli agenti. Inoltre che i detenuti arrivano a chiamare il 112 dalla camera detentiva con telefoni di cui sono illegittimamente in possesso, che le situazioni strutturali sono al collasso, che il benessere del personale è ai minimi storici e che i reclusi saltano i muri di cinta con lenzuola annodate come nei film. Secondo il Sappe, i dirigenti penitenziari esaltano terzietà, equilibrio e l’imparzialità dei vertici degli istituti penitenziari a vantaggio di una “conduzione rispondente ai principi di equità e umanità”, però al contempo vogliono continuare a stare a capo di un corpo di Polizia Penitenziaria a cui non appartengono e che hanno condotto allo sbando, spesso anche a causa di una fuorviante deriva ideologica. E aggiunge che l’ordinamento riconosce loro la responsabilità di sicurezza negli istituti, senza possedere alcuna qualifica che ne legittimi l’attribuzione ma, soprattutto, senza alcuna formazione specifica. Il Sappe afferma che non si comprendono quali siano le peculiarità dei dirigenti penitenziari rispetto ai dirigenti di Polizia Penitenziaria, tenendo altresì conto che quest’ultimi sono laureati in giurisprudenza a hanno tutti almeno un master, alcuni anche più di una laurea. Afferma che i dirigenti penitenziari sono parte di una deriva ideologica che vorrebbe eliminare le carceri e la polizia lasciando i delinquenti in giro per le strade. Conclude dicendo che è giunto il momento di addivenire al più presto all’unificazione della dirigenza, con possibilità di transito dei dirigenti penitenziari in altre amministrazioni, qualora non volessero entrare a far parte del corpo, insomma che i vertici dell’Amministrazione provengano dal Corpo di Polizia Penitenziaria.
Se paragonassimo il carcere a una grossa azienda privata, che ha il compito di contenere, vigilare e redimere, sarebbe come se i funzionari pedagogici fossero coloro che si occupano di formazione, i medici della cura e il corpo di Polizia di sicurezza dell’azienda, ognuno con il proprio responsabile di categoria. Seguendo questo filo di pensiero sarebbe necessario che vi sia una persona che stia al di sopra di tutti e che non faccia parte di nessuna delle altre categorie, ma che sia indipendente, un CEO, che appunto venga da un’altra scuola di pensiero e che abbia la funzione di amministrazione generale di tutta l’azienda e di tutto il personale che vi lavora in piena sinergia. Secondo noi è importante che sia implementato quanto più possibile il trattamento penitenziario, la concreta possibilità che il carcere sia un luogo rieducativo che consenta di intraprendere scelte diverse. La recidiva sarebbe drasticamente ridotta.
DN – SP 

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