martedì 28 luglio 2020

Mio nonno e una reazione mancata

Premetto il fatto che sono una persona impulsiva e che tendo a reagire molto male in certe situazioni, quando vengo attaccato io o persone a me care. Per questo, l’episodio che sto per raccontarvi mi stupisce ancora oggi, visto che non agii come al solito.
Avevo circa 17 anni e, al contrario dei miei amici, la sera preferivo stare a casa con mio nonno, con il quale avevo un rapporto eccezionale. Per me, lui era un amico, prima che un nonno. Spesso facevamo i compiti insieme e, con lui, quei fastidiosi compiti diventavano piacevoli. Mio nonno era un uomo molto intelligente, un ingegnere mancato a causa del padre, che lo obbligò a lavorare con lui e ad abbandonare gli studi. Era molto colto, leggeva tantissimo e ritagliava gli articoli di giornale più interessanti per poi mostrarmeli e discuterne. Era anche un collezionista: monete, francobolli, automobiline. Si dedicava anche al modellismo, insieme costruivamo velieri, auto, castelli, monumenti. Insomma, mi divertivo molto a stare con lui, ogni giorno imparavo qualcosa di nuovo. Era bravo anche nella grammatica e in matematica: quando leggeva i nostri libri di testo scolastici trovava sempre qualche inesattezza, avvisando le maestre degli errori. 
Era un grande, mio nonno.
Dopo il militare, aveva cominciato a fumare molto, quasi tre pacchetti di “Macedonia” senza filtro al giorno. I medici lo avvisarono del pericolo per lui che era sofferente di cuore, del fatto che se avesse continuato, le medicine non avrebbero avuto effetto. Allora, di punto in bianco, smise completamente di fumare, così, dal giorno alla notte. Iniziò ad avvertire forti mal di testa, che culminarono in un ictus. Eravamo talmente affiatati, che io capivo al volo quando non si sentiva bene, ancora prima della crisi. Dopo anni, ancora non si riusciva a capire la causa di queste crisi. Finchè, un brutto giorno, stette molto, molto male e fu obbligato ad andare all’ospedale San Carlo. Un dottore ci disse che le crisi erano dovute all’ostruzione delle vie respiratorie, che limitava il flusso di ossigeno. Fu ricoverato in terapia intensiva e attaccato ad un iperventilatore. Io stavo con lui giorno e notte, senza tornare a casa. Mi davano poche informazioni sul suo stato, perché ero giovane. Una notte, stette malissimo, i valori erano molto preoccupanti. Decisero di tentare un’operazione, ma essendo lui intubato ed io minorenne, avrebbero dovuto aspettare mia nonna o mia madre per avere il consenso. Mio nonno aveva 74 anni, e le sue vene e il complesso del suo apparato respiratorio erano estremamente fragili, per cui un’operazione era estremamente rischiosa, ad alto rischio di emorragie. Decisero di entrare con un sondino nella vena aorta per inserire un palloncino che avrebbe dovuto allargare la vena e permettergli di respirare autonomamente. Data l’urgenza, fecero firmare a mio nonno, che a stento alzava un braccio e batteva gli occhi il consenso ad operare. 
Morì durante l’intervento. 
Io, che aspettavo in sala, lo venni a sapere solo dopo qualche ora da mia madre. 
In quel momento avevo in mente una cosa sola: devastare l’ospedale e fare del male ai dottori e agli infermieri. 
Al contrario, mi pietrificai, come fossi congelato. Non mangiai né parlai per una settimana, fino a quando dovettero portarmi da uno psicologo perché mi sbloccassi. Sapevo che la colpa era di chi volle operare senza aspettare il parere di mia madre o di mia nonna, ma mio nonno non c’era più e nessuno avrebbe potuto ridarmelo. Col passare del tempo iniziai ad uscire con i miei amici per svagarmi, ma quella rabbia, quel dolore, li porto ancora dentro di me. Quando penso a lui cerco di pensare a quando stava bene e giocavamo, evitando di riflettere sui motivi della sua morte. 
Se avessi ceduto a quel momento di rabbia e avessi reagito d’impulso, non so cosa sarebbe successo. Ora mio nonno è sempre con me, e così sarà per tutta la vita.
Ciao nonno.

Maicol Perotti

Nessun commento: