lunedì 13 ottobre 2025

La droga in carcere? Il segreto di Pulcinella.

 Ogni settimana, nello storico penitenziario di piazza Filangieri, vengono eseguiti una conquantina di esani del capello, su 1100 detenuti.

“E’ il segreto di Pulcinella”

Così Pietro Farneti, responsabile dello SMI, il Servizio per le dipendenze che collabora stabilmente con la casa circondariale, definisce quello che tutti sanno ma nessuno scrive: la droga gira anche dentro.

“E’ rarissimo che una morte in carcere sia ricondotta alle sostanze, ma che le sostanze circolino è un dato di fatto. Così come è un fatto che i ragazzi riescano ad accumulare farmaci per poi assumerli insieme o rivenderli all’interno”. Ogni settimana, nello storico penitenziario di San Vittore, vengono eseguiti una cinquantina di esami del capello su 1100 detenuti.

“Basterebbe farli a tappeto, non solo su chi si autodenuncia tossicodipendente e che quindi viene seguito dal Servizio per le dipendenze interno (SERD), per avere nero su bianco che dentro, questo problema esiste davvero, spiega Farneti. Ma forse è più comodo tollerare. E comunque senza consenso non si può fare nulla: né test, né controlli”.

Così i numeri restano parziali e la realtà scivola via come acqua tra le dita.

“Le due persone decedute, precisa Farneti, non erano affidate al SERD né inserite nella “Nave”, la sezione terapeutica della casa circondariale. Uno, il cittadino peruviano, era al Quinto Raggio ed è spirato in ospedale per un’emorragia gastrica le cui cause sono ancora da chiarire; l’altro, di nazionalità marocchina, al Terzo Raggio, è morto in cella per presunta assunzione di oppiacei e aveva un passato da tossicodipendente. Il carcere è rimasto blindato per ore, solo psichiatri e medici, sono potuti entrare e lo stesso personale era sotto choc”.

San Vittore è una città nella città: celle affollate, una fitta rete di operatori, educatori, volontari, avvocati, addetti alle pulizie e alla manutenzione, medici e parenti. Ogni giono centinaia di ingressi e uscite.

“Un’osmosi vivace, come deve essere, dice Farneti, ma assicurare controlli e perquisizioni efficaci diventa complicatissimo, se non impossibile”.

Dalla soglia di piazza Filangieri passa anche ciò che non dovrebbe passare.

“Davvero niente può essere cambiato?” dice Farneti. “In Lombardia dal 2020, c’è una legge di riforma del sistema delle dipendenze, ci sono piani per sviluppare progettualità, ma in cinque anni quella legge non è mai stata applicata”. Fuori dal carcere, le droghe cambiano faccia ogni settimana.

“Per capire davvero cosa si muove, spiega Farneti, i SERD dovrebbero tornare per strada, nelle piazze di spaccio, insieme ai tossicologi. La popolazione che seguiamo oggi è ormai cronicizzata e non basta come campione. E’ un’industria, e i prodotti cambiano di continuo”.

Dietro le sbarre si muore in silenzio. E la morte, quando arriva tra le celle, non è mai solo una tragedia: è la prova che qualcosa, nel sistema continua a non voler essere visto.


Elisabetta Andreis, Corriere.it



Carceri, parla Luigi Pagano

 


Luigi Pagano è stato nominato garante delle carceri del Comune di Milano, dopo essere stato direttore di San Vittore dal 1989 al 2004, oltre che provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

 

Pagano, in carcere a San Vittore i detenuti muoiono, per droga o perché si suicidano.

Fortunatamente sono rari i casi di overdose, ma si tratta di segnali di una situazione arrivata al limite. E’ un carcere antico, non adeguato alle esigenze moderne. E’ stato costruito nel 1879, e dal  punto di vista strutturale potrebbe anche essere considerato buono, ma è completamente inadeguato per come si intende la pena oggi, secondo la Costituzione e l’ordinamento penitenziario

Cioè?

E’ una struttura fatta di spazi chiusi, mentre ci vorrebbero quelli aperti, per fare uscire le persone dalle celle per partecipare all’attività “trattamentale”, lavoro, studio, creatività, come si fa nel carcere di Bollate. Ma questo oggi è impossibile nella situazione di sovraffollamento completo di San Vittore, con oltre 1100 detenuti, fra i quali la stragrande maggioranza è fatta di persone in attesa di giudizio, arrestati per reati minori, solo perché in strada non li si vuole vedere.

Comunque a San Vittore, anche se non ci sono orti e laboratori, ci sono tante attività di volontariato, come il reparto La Nave, dove si aiutano proprio i detenuti con problemi di dipendenze.

Certo, si fanno cose molto belle e utili anche a San Vittore, alla Nave in particolare. Ma gli spazi non bastano, i Decreti sicurezza hanno riempito le celle: hanno trasferito in carcere un problema di ordine pubblico. Ma così, il sistema carcere non regge, si crea un imbuto, nel quale è impossibile riuscire a star dietro a tutto e lavorare con i detenuti per permettere loro di ripensarsi in un domani diverso. Bisogna pensare alla dignità di chi vive recluso e anche di chi lavora in queste strutture. Pure il personale dellla polizia penitenziaria è in grande stress e ci sono suicidi anche fra gli agenti.

Ma la droga in carcere non dovrebbe esserci: come entra?

Purtroppo ci sono diverse strade. Il carcere non è un sistema chiuso, vive di comunità, ci sono i colloqui, passano tantissime persone, addetti ed operatori di ogni tipo, ogni giorno. E’ cpme un grande sistema di vaso comunicanti e qualcosa per forza sfugge. Controllare tutto è impossibile: Rendere le carceri completamente impermeabili non è fattibile, anche facendo perquisizioni molto accurate.

A parte la droga, in posti come San Vittore la disperazione è altissima. Ci sono i suicidi, i volontari raccontano di ondate continue di nuovi arrivi, ragazzi giovanissimi, stranieri, abituati alla violenza, con i quali nel contesto carcerario è difficle intraprendere qualsiai tipo di discorso, per non parlare del rapporto con la polizia penitenziaria che è spesso di scontro, provocatorio.

Sì, infatti, in queste condizioni , la logica oramai è quella di tenerli chiusi nelle celle, e non dipende da scelte che si prendono a San Vittore. Il mio è un discorso di carattere generale.

Creare condizioni di sovraffollamento sopra ogni limite comporta la compressione degli spazi, della possibilità di occuparsi di chi è più fragile. Una situazione di invivibilità che aumenta le tensioni, il numero di incidenti, le occasioni di prevaricazione. Così basta una scintilla per far scoppiare tutto, per far saltare equilibri ed emozioni.

C’è anche un problema di organico?

Mancano non solo gli agenti ma anche i medici, gli educatori e gli specialisti. Chi vive dentro a San Vittore inevitabilmente finisce per sentirsi totalmente abbandonato, senza alcuna possibilità di sana socializzazione o di attività all’esterno della cella. Le case circondariali come San Vittore, Poggioreale e Regina Coeli sono le più affollate e quelle dove si riesce a fare meno per i benessere minimo vitale dei detenuti, che peraltro sono “presunti colpevoli”, doppiamente penalizzati, perché stanno nei penitenziari peggiori e più affollati pure non essendo ancora stati giudicati colpevoli in via deifinitiva.

Come si potrebbe rimediare a questi problemi così complessi?

Intanto, avendo il coraggio di pensare a provvedimenti come l’indulto e l’amnistia per i reati minori: ci vuole una misura deflattiva che riduca i numeri. E poi bisogna ripensare i Decreti che, per togliere dalla strada delle persone che danno fastidio, puntano sulla politica penale invece che su quella sociale.

 

Intervista di Zita Dazzi, La Repubblica