mercoledì 15 ottobre 2025

Un Coro di emozioni

Venerdì 3 ottobre 2025. Un giorno diverso dagli altri per chi, tra noi persone detenute nel carcere di San Vittore, ha avut0 la possibilità di partecipare con il nostro coro all’evento esterno organizzato a Milano presso la comunità dell’a Associazione L’ Abilità. La comunità ospita bambini con disabilità anche molto gravi. Il coro, invece, è una delle attività del nostro percorso di cura dalla dipendenza, che frequentiamo a cadenza settimanale all’interno del reparto La Nave di San Vittore. Questa volta abbiamo potuto portare la nostra voce al di fuori delle mura del carcere e far vedere che dentro di noi non ci sono solo gli errori che abbiamo commesso.

“Siamo esseri umani”, dice il ritornello di una delle canzoni che abbiamo cantato.

Non era la prima volta che il nostro coro faceva un concerto fuori. Pensavamo che anche questa occasione sarebbe stata come le altre: qualche ora fuori, potendo anche incontrare i nostri parenti e cantando le nostre canzoni Con il coro della Nave, era già successo. Ma questa volta è stato completamente diverso da quello che ci eravamo immaginati. Certo, l’incontro con i parenti è stato un momento moto forte, e per alcuni di noi era la prima volta che accadeva fuori dal carcere. Ma fortissimo è stato l’impatto con i bambini e le loro famiglie per i quali abbiamo cantato. Ci siamo esibiti all’interno della chiesa del Preziosissimo Cuore. Noi cantavamo e i bimbi della comunità cantavano insieme a noi. Con le loro patologie, a volte gravissime, cantavano, ballavano e ridevano. Un’emozione davvero molto intensa. Un impatto con la realtà della vita che non possiamo vivere tutti i giorni. Bisognava combattere con tante emozioni contrastanti che si animavano dentro noi, e per molti le lacrime erano difficili da trattenere.

Mettersi in gioco, guardarsi e confrontarsi con le vite degli altri spesso ci aiuta a capire che non siamo i soli a soffrire in questo mondo e che possiamo essere uno specchio per gli altri, così come gli altri possono esserlo per noi. Realtà come il reparto La Nave, gestito qui a San Vittore dalla Asst Santi Paolo e Carlo, dovrebbero essere presenti in tutte le carceri italiane. Per aiutarti a ripartire, rialzandoti dopo la caduta e anche per regalarti momenti come questi, indimenticabili. Anche così, ci si rialza. Per questo, grazie alla associazione L’Abilità. Per averci invitato e donato questa giornata che lascerà il segno. E grazie a tutti gli organi competenti che ci hanno concesso di accogliere tutto ciò che quest’occasione ha rappresentato.


I Coristi della Nave

lunedì 13 ottobre 2025

La droga in carcere? Il segreto di Pulcinella.

 Ogni settimana, nello storico penitenziario di piazza Filangieri, vengono eseguiti una conquantina di esani del capello, su 1100 detenuti.

“E’ il segreto di Pulcinella”

Così Pietro Farneti, responsabile dello SMI, il Servizio per le dipendenze che collabora stabilmente con la casa circondariale, definisce quello che tutti sanno ma nessuno scrive: la droga gira anche dentro.

“E’ rarissimo che una morte in carcere sia ricondotta alle sostanze, ma che le sostanze circolino è un dato di fatto. Così come è un fatto che i ragazzi riescano ad accumulare farmaci per poi assumerli insieme o rivenderli all’interno”. Ogni settimana, nello storico penitenziario di San Vittore, vengono eseguiti una cinquantina di esami del capello su 1100 detenuti.

“Basterebbe farli a tappeto, non solo su chi si autodenuncia tossicodipendente e che quindi viene seguito dal Servizio per le dipendenze interno (SERD), per avere nero su bianco che dentro, questo problema esiste davvero, spiega Farneti. Ma forse è più comodo tollerare. E comunque senza consenso non si può fare nulla: né test, né controlli”.

Così i numeri restano parziali e la realtà scivola via come acqua tra le dita.

“Le due persone decedute, precisa Farneti, non erano affidate al SERD né inserite nella “Nave”, la sezione terapeutica della casa circondariale. Uno, il cittadino peruviano, era al Quinto Raggio ed è spirato in ospedale per un’emorragia gastrica le cui cause sono ancora da chiarire; l’altro, di nazionalità marocchina, al Terzo Raggio, è morto in cella per presunta assunzione di oppiacei e aveva un passato da tossicodipendente. Il carcere è rimasto blindato per ore, solo psichiatri e medici, sono potuti entrare e lo stesso personale era sotto choc”.

San Vittore è una città nella città: celle affollate, una fitta rete di operatori, educatori, volontari, avvocati, addetti alle pulizie e alla manutenzione, medici e parenti. Ogni giono centinaia di ingressi e uscite.

“Un’osmosi vivace, come deve essere, dice Farneti, ma assicurare controlli e perquisizioni efficaci diventa complicatissimo, se non impossibile”.

Dalla soglia di piazza Filangieri passa anche ciò che non dovrebbe passare.

“Davvero niente può essere cambiato?” dice Farneti. “In Lombardia dal 2020, c’è una legge di riforma del sistema delle dipendenze, ci sono piani per sviluppare progettualità, ma in cinque anni quella legge non è mai stata applicata”. Fuori dal carcere, le droghe cambiano faccia ogni settimana.

“Per capire davvero cosa si muove, spiega Farneti, i SERD dovrebbero tornare per strada, nelle piazze di spaccio, insieme ai tossicologi. La popolazione che seguiamo oggi è ormai cronicizzata e non basta come campione. E’ un’industria, e i prodotti cambiano di continuo”.

Dietro le sbarre si muore in silenzio. E la morte, quando arriva tra le celle, non è mai solo una tragedia: è la prova che qualcosa, nel sistema continua a non voler essere visto.


Elisabetta Andreis, Corriere.it



Carceri, parla Luigi Pagano

 


Luigi Pagano è stato nominato garante delle carceri del Comune di Milano, dopo essere stato direttore di San Vittore dal 1989 al 2004, oltre che provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

 

Pagano, in carcere a San Vittore i detenuti muoiono, per droga o perché si suicidano.

Fortunatamente sono rari i casi di overdose, ma si tratta di segnali di una situazione arrivata al limite. E’ un carcere antico, non adeguato alle esigenze moderne. E’ stato costruito nel 1879, e dal  punto di vista strutturale potrebbe anche essere considerato buono, ma è completamente inadeguato per come si intende la pena oggi, secondo la Costituzione e l’ordinamento penitenziario

Cioè?

E’ una struttura fatta di spazi chiusi, mentre ci vorrebbero quelli aperti, per fare uscire le persone dalle celle per partecipare all’attività “trattamentale”, lavoro, studio, creatività, come si fa nel carcere di Bollate. Ma questo oggi è impossibile nella situazione di sovraffollamento completo di San Vittore, con oltre 1100 detenuti, fra i quali la stragrande maggioranza è fatta di persone in attesa di giudizio, arrestati per reati minori, solo perché in strada non li si vuole vedere.

Comunque a San Vittore, anche se non ci sono orti e laboratori, ci sono tante attività di volontariato, come il reparto La Nave, dove si aiutano proprio i detenuti con problemi di dipendenze.

Certo, si fanno cose molto belle e utili anche a San Vittore, alla Nave in particolare. Ma gli spazi non bastano, i Decreti sicurezza hanno riempito le celle: hanno trasferito in carcere un problema di ordine pubblico. Ma così, il sistema carcere non regge, si crea un imbuto, nel quale è impossibile riuscire a star dietro a tutto e lavorare con i detenuti per permettere loro di ripensarsi in un domani diverso. Bisogna pensare alla dignità di chi vive recluso e anche di chi lavora in queste strutture. Pure il personale dellla polizia penitenziaria è in grande stress e ci sono suicidi anche fra gli agenti.

Ma la droga in carcere non dovrebbe esserci: come entra?

Purtroppo ci sono diverse strade. Il carcere non è un sistema chiuso, vive di comunità, ci sono i colloqui, passano tantissime persone, addetti ed operatori di ogni tipo, ogni giorno. E’ cpme un grande sistema di vaso comunicanti e qualcosa per forza sfugge. Controllare tutto è impossibile: Rendere le carceri completamente impermeabili non è fattibile, anche facendo perquisizioni molto accurate.

A parte la droga, in posti come San Vittore la disperazione è altissima. Ci sono i suicidi, i volontari raccontano di ondate continue di nuovi arrivi, ragazzi giovanissimi, stranieri, abituati alla violenza, con i quali nel contesto carcerario è difficle intraprendere qualsiai tipo di discorso, per non parlare del rapporto con la polizia penitenziaria che è spesso di scontro, provocatorio.

Sì, infatti, in queste condizioni , la logica oramai è quella di tenerli chiusi nelle celle, e non dipende da scelte che si prendono a San Vittore. Il mio è un discorso di carattere generale.

Creare condizioni di sovraffollamento sopra ogni limite comporta la compressione degli spazi, della possibilità di occuparsi di chi è più fragile. Una situazione di invivibilità che aumenta le tensioni, il numero di incidenti, le occasioni di prevaricazione. Così basta una scintilla per far scoppiare tutto, per far saltare equilibri ed emozioni.

C’è anche un problema di organico?

Mancano non solo gli agenti ma anche i medici, gli educatori e gli specialisti. Chi vive dentro a San Vittore inevitabilmente finisce per sentirsi totalmente abbandonato, senza alcuna possibilità di sana socializzazione o di attività all’esterno della cella. Le case circondariali come San Vittore, Poggioreale e Regina Coeli sono le più affollate e quelle dove si riesce a fare meno per i benessere minimo vitale dei detenuti, che peraltro sono “presunti colpevoli”, doppiamente penalizzati, perché stanno nei penitenziari peggiori e più affollati pure non essendo ancora stati giudicati colpevoli in via deifinitiva.

Come si potrebbe rimediare a questi problemi così complessi?

Intanto, avendo il coraggio di pensare a provvedimenti come l’indulto e l’amnistia per i reati minori: ci vuole una misura deflattiva che riduca i numeri. E poi bisogna ripensare i Decreti che, per togliere dalla strada delle persone che danno fastidio, puntano sulla politica penale invece che su quella sociale.

 

Intervista di Zita Dazzi, La Repubblica

sabato 27 settembre 2025

Le Ali della Vita


Mi chiamo Alessandro, ho deciso di scrivere un pensiero, il quale forse, anzi, certamente, non avrei mai immaginato di scrivere. Ideato comunque con affetto e  da condividere con i miei ormai fratelli “marinai”, perche pur essendo un eufemismo ci troviamo sulla stessa barca, perdonatemi più consono il termine “sulla stessa nave”. Questo breve racconto intitolato “le ali della vita” è stato scritto per le mie bambine,le mie 2 ali, in questo momento 2 ali non al massimo della loro forma e “ampiezza” in grado di sorreggersi da sole a causa della mancanza di un loro forte punto di riferimento  “il papà”, ma con la presenza di una madre fantastica in grado di colmare questo “gap” nella maniera migliore, anche se in assenza del loro imprescindibile mezzo per proseguire  il volo, “il papà” appunto , ed essere completamente libere di volare nella loro incredibile maestosità. Non so se questa metafora sia funzionata, capita o percepita, ma il significato di tutto ciò è che senza le mie ali, si è interrotto provvisoriamente qualcosa di magico, una sintonia perfetta, una famiglia unita, con la speranza che questo fantastico “volo” riprenda al più presto, liberi di volare, ritrovando quella normalità di vita al momento perduta solo per colpa di papà, ma sono certo che ci ritroveremo al più presto, io e la mia famiglia “sul divano a parlar del più e del meno... a crescere bambini. In tutto ciò rimanere “seduto in disparte” fa molto male, ma come ha scritto Pappalardo la parola d’ordine è una sola “ricominciamo” e ricominceremo più forti che mai. Lo devo a me stesso, ma soprattutto a loro come marito e genitore. Nel frattempo giocate spensierate, sorridete,proseguite con impegno il vostro programma scolastico per poi la sera fare la nanna con la vostra amata mamma , che un giorno, un bel giorno papà tornerà presto, per proseguire questo viaggio fantastico chiamato “vita”. Il papà ha fatto degli errori che attualmente sta pagando, ma con tutto l’impegno, la forza, la riflessione e ascoltando parole e consigli di persone competenti proverà con tutte le sue forze a non cadere più in errore.  

Dedicato alle mie ali, Isabel e Penelope i miei piccoli cuoricini, il vostro papà vi ama e farà in modo che più niente e nessuno potrà mai più dividerci.

Il vostro papone.

Alessandro  Demolli

Rancore nei miei confronti

 Il rancore,che per definizione è un risentimento profondo covato a lungo e tenuto nascosto, lo serbo per me stesso. I sinonimi di rancore sono astio,malevolenza e addirittura odio.Fino a qualche mese fa, nonostante qualche lieve senso di colpa,gli errori che commettevo non mi sfiorava più di tanto. Ero sì consapevole che lo stile di vita che negli ultimi anni stavo conducendo non era dignitoso ma me ne sono sempre fregato e il rancore l’ho sempre serbato nei confronti dei miei genitori oppure nel confronto degli altri.Ma dall’8 Marzo del 2025 commisi un errore che non mi perdonerò mai nei confronti di una persona che pur avendomi portato al limite sbagliando gravemente con me non meritava comunque l’entità della mia reazione, nonostante avesse sbagliato e mi avesse ferito.Da quel momento cominciai a farmi profondi esami di coscienza , tormentandomi per l’accaduto e ad esaminare a fondo ogni mio difetto e le reazioni che avevo quando le cose non andavano bene o qualcuno non si comportava come avrei voluto o mi sarei aspettato.Da quel momento di qualche mese fa serbo rancore soltanto per me stesso.Tutt’ora che sono in carcere penso a come mi sono comportato nei confronti di quella persona, nei confronti della mia famiglia, conoscenti, amici ed anche a come ho trascurato me stesso. Sin dal primo giorno di detenzione non facevo altro che pensare a quella persona in ogni singolo momento della giornata provando davvero un grande risentimento, ovvero rancore, verso me stesso.Tutt’ora mi colpevolizzo ed analizzo come mai un ragazzo che fino a qualche anno fa conduceva una vita regolare, che si prendeva cura di se stesso, lavorava e non sfociava in determinati atteggiamenti, sia arrivato a comportarsi in tal modo.Se prima provavo sempre a giustificare gli atteggiamenti sbagliati o lo stile di vita fatto da eccessi sia a me stesso che agli altri, adesso ho acquisito la consapevolezza che non importa come le persone si comportino con me perché io posso e devo fare meglio, avere più pazienza, placarmi, ragionare di più e agire nella maniera più pacata e migliore possibile.Il percorso su me stesso partirà proprio dal rancore che provo su me stesso che, anche se mi logora, sono convinto che mi porterà a capire il modo migliore  come reagire alle difficoltà della vita e in che modo affrontare i comportamenti che io ritengo ingiusti nei miei confronti.Il rancore, dunque, mi sta facendo del male ma è da lui che ripartirà la mia rinascita per trovare un equilibrio sia nella mia vita che nei rapporti con la società.

Eduard Spanache

venerdì 29 agosto 2025

Il Giudizio

S. Catania   

L'indifferenza

Fra dieci anni

Prima di tutto, spero che fra dieci anni la salute sia come oggi, anche se da un po’ di tempo vedo un tantino male da vicino. Tra dieci anni ne avrò 57, sempre con lo spirito che mi porto da bambino, quindi sarà un lungo percorso pieno di fiducia e cura per me stesso. Finita questa bella esperienza alla Nave, che porterò sempre nel cuore, ringraziando tutti. Da libero continuerò a vivere nella casetta che mi hanno lasciato i miei genitori e ritornerò a lavorare al mercato, a vendere frutta e verdura con la stessa passione che avevo da ragazzino. Cercherò di risparmiare qualche soldo per comprarmi una macchina. Il mio sogno è una Mini Cooper, per girare in città sarebbe comoda anche una Smart e la versione cabrio sarebbe perfetta. Solo due posti ma sono deciso a prenderla. Condurre una vita raggiungendo i miei obiettivi con impegno senza mai abbassare la guardia, spero tanto di conoscere una compagna per dedicarci all’amore e al rispetto reciproco, viaggiare, ma soprattutto la voglio che non faccia uso di nessuna sostanza, perché io sono deciso a riprendere la mia vita in mano, e a soddisfare quel forte desiderio di diventare papà perchè mi manca questa stupenda emozione. Voglio provarla prendendomi cura di lui o lei e crescere insieme senza mai fargli mancare nulla. Insomma, come mi vedo tra 10 anni: non più da solo con la smart, ma con una macchina spaziosa con la mia famiglia, uniti perché non ci sarà più tempo per sbagliare, senza mai dimenticare che anche mio fratello ha bisogno di me.

Stefano Tolomeo  

Sono Gabriele

Buongiorno a tutti, sono Gabriele. Sono un ragazzo molto timido, chiuso, purtroppo quando ero bambino non avevo una famiglia unita e mi sono ritrovato a crescere senza un padre, di cui non conosco  nulla. Frequentavo le scuole elementari quando ebbi i primi problemi con mia madre, all’uscita della scuola mi ritrovavo sempre mia zia perché mia madre era presa da un uomo ed entrambi erano tossicodipendenti, così mi trascurava al punto di abbandonarmi dai nonni. Vi lascio immaginare come si sente un bimbo in quelle condizioni.  Per tutti i cinque anni di elementari ho sofferto sempre di più, vedevo i miei compagni all’entrata e uscita da scuola con la loro mamma e i loro papà ed io mi rattristavo e il pensiero era fisso: “come vorrei un abbraccio e un bacio appena fuori da scuola come tutti gli altri bimbi”. Non è sbagliato, non credete? Finite le scuole mio nonno mi iscrisse in una squadra di calcio chiamata Fides, mi piaceva molto giocare a calcio, mi impegnavo molto e a mio nonno piaceva venirmi a vedere, ma purtroppo con la vita che avevo intrapreso con le sostanze mollai tutto. Con i miei ex compagni di scuola ci ritrovavamo al parchetto a fumare le canne, che alleviavano le mie sofferenze ma allo stesso tempo non mi rendevo conto che davo dispiaceri a mio nonno. Così iniziai a entrare in un giro che mai pensavo mi avrebbe portato alla galera. 

Il Rancore

Provo un grande rancore nei miei confronti, per tutti gli sbagli che ho fatto nella mia vita. Nonostante tutti i consigli ricevuti dalle persone che mi vogliono bene, sono arrabbiato con me stesso, per tutti i torti che ho fatto. I soldi che ho fatto spendere per cercare di curarmi, non è bastato neanche il periodo forzato in Senegal per rimettermi sulla via giusta. Al mio ritorno in Italia ho continuato a perseverare nella condotta sbagliata, ignorando nuovamente i consigli dei miei cari. Provo vergogna per alcune situazioni che ho creato e che rimarranno sempre impresse nella mia mente. Ricordo quando mia madre mi beccò mentre fumavo, si è buttata letteralmente a terra piangendo, sembrava avesse una crisi epilettica. I miei genitori avevano già previsto che se avessi continuato così, sarei finito in carcere. Previsione ovviamente da me ignorata. Adesso che sono qui, riesco a riflettere lucidamente su tutto ciò che ho fatto, mi rendo conto che sono fortunato ad avere la possibilità, qui a La Nave, di intraprendere un percorso di cura che mi aiuterà a condurre una vita sana e non deludere più le aspettative dei miei genitori e magari potrò finalmente perdonarmi e non provare più rancore nei miei confronti.

Khadim Diop