lunedì 4 novembre 2019

Leila nella tempesta, quando il carcere è meglio del mondo che sta fuori


Quando conosciamo qualcuno, una persona che magari ci piace, con cui trascorriamo volentieri del tempo insieme, sia essa uomo o donna, viene un momento in cui le chiediamo di che religione sia. È priorità imprescindibile del rapporto? E se fosse di una religione che non è la nostra, dovremmo interrompere il legame, sia anche solo di pura amicizia?
Rotonda di San Vittore, settimana scorsa, Leila della tempesta, uno spettacolo teatrale la cui protagonista è un’immigrata di fede islamica detenuta in Italia. In un luogo talmente chiuso come il carcere convivono, seppur forzatamente, persone con diversi credi e culture. Nonostante il carcere sia quel luogo dimenticato da tutti, quel luogo che non vorremmo vedere, in cui non vorremmo mai capitare, convivono all’interno di quelle mura una moltitudine di persone senza contrasti religiosi tra loro. Conoscendosi, parlandosi e confrontandosi sono demoliti quei muri che qualcuno vorrebbe ri-costruire, ma che non servirebbero ad altro se non a incrementare le paure, a isolarsi ulteriormente oltre che a nutrire quel senso di disagio e smarrimento che affligge oggi molti popoli di questo pianeta. Non tutto ciò che non conosciamo, è male, spesso basterebbe documentarsi meglio, senza fidarsi delle fake news dei social media.
AFG&SP

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