mercoledì 29 aprile 2020

Nel posto giusto, al momento sbagliato

Salve, mi chiamo Mimmo e mi trovo nella sezione chiamata “La Nave”. Sono arrivato da qualche giorno, proprio agli inizi dell’epidemia di Corona virus e in coincidenza, come ciliegina sulla torta con la rivolta. Sono capitato nel posto giusto ma al momento sbagliato. Purtroppo ho visto ben poco dell’attività della Nave, i gruppi, i corsi…Ho fatto più corse che corsi, per salvare le mie cose, che corsi e l’unico gruppo che ho visto è stato quello dei detenuti che salivano dai piani inferiori. Ecco cosa ho visto sino ad oggi della Nave. Oggi sono chiuso in cella per 21 ore al giorno, in attesa dell’agognata ora d’aria. Ogni tanto scrivo qualcosa, come questo pensiero sulla Nave. E’ un momento di grande confusione per me, e, se ci mettiamo che devo ancora essere processato e che non ho idea della pena che mi sarà assegnata, capirete il mio stato d’animo. Non sono certo innocente, ma mi contestano anche cose che non ho fatto. Spero che arrivi presto l’udienza del 26 giugno, perché in quel momento tutto sarà più chiaro e potrò collaborare con L’Oblò in maniera continuativa, visto che amo molto scrivere. Spero che comprendiate la mia situazione, col tempo ci potremo conoscere e capire meglio chi siamo (io e voi). Comunque, gli articoli dell’Oblò che ho letto sono davvero interessanti. Ben presto ci sarò anch’io!

Domenico La Greca

lunedì 27 aprile 2020

L'ultima battaglia

Eccomi qua a scrivere. Ormai è l’unico modo che mi è rimasto per esprimere le mie sensazioni e i miei pensieri, dato lo stato d’epidemia in corso. E’ proprio da qui che voglio partire, dal Covid 19, un virus sulla cui creazione girano molte voci. Un nemico invisibile, diverso dall’altro nemico, quello con cui da molti anni abbiamo ingaggiato innumerevoli scontri e battaglie: la sostanza. Fino ad oggi l’ha avuta vinta lei, riportandomi dietro le sbarre in un momento così critico. Mi capita di pensare che, se la grande quantità di droga che ho assunto negli anni non è riuscita ad uccidermi, beh, sarebbe davvero ironico se  dovessi andarmene per aver contratto questo virus! Vorrebbe dire non poter più combattere, vorrebbe dire avere perso la guerra con la droga senza la possibilità di combattere l’ultima battaglia! Una sconfitta indiretta, d’accordo, ma pur sempre una sconfitta. Speriamo che questo virus ci risparmi tutti. Ne approfitto per dire che, secondo il mio parere, ci troviamo davanti a qualcosa di fabbricato dagli esseri umani, un virus fuggito da qualche laboratorio. Forse per ridurre la popolazione mondiale? Un caso che sia nato in Cina? Questo non lo sapremo mai, ma spero che tutto ciò diventi presto solo un brutto ricordo e che ci insegni il valore della vita e del proprio Paese.

Mario D’Argento

sabato 25 aprile 2020

Una giornata ai tempi del Coronavirus

Ciao, compagni marinai. Volevo raccontarvi come sto vivendo la mia carcerazione in questo periodo. Innanzitutto, non usufruisco dell’ora d’aria, visto che da due mesi dicono di evitare i contatti, di stare a casa. I miei compagni di piano sono tutti sani, ma non ho notizie delle condizioni degli altri piani. Così, sto in cella 24 ore al giorno, tranne quei dieci minuti dedicati alla telefonata ai miei cari sperando che stiano tutti bene. In primis mia madre di 84 anni. So, che prima o poi la perderò ma non vorrei fosse per questo virus. Come al solito mi sveglio alle 8, caffè, sigaretta e poi la cella resta tutta per me, visto che il mio compagno va all’ora d’aria. Mi affaccio alla finestra e guardo viale Papiniano: mai vista così deserta. Osservo le persone in piazza Aquileia che portano i loro cani a fare i bisogni, e mi viene subito tristezza, pensando al mio Argo, che non vedo ormai da un anno e che mi manca molto. A mezzogiorno si mangia, alle 15 un po’ di tele e poi mi metto a preparare qualche manicaretto per la sera. Alle 18 mi affaccio alle sbarre della cella e scambio qualche parola col mio dirimpettaio Eddy Mecani, sfogando tutta l’incazzatura per la situazione. Poi cena, TV ed è già l’una e trenta, ora di dormire. Buonanotte a tutti voi e speriamo nel domani. Chiudo lamentando la scarsa considerazione di cui godiamo noi detenuti, soprattutto da parte del ministro della Giustizia Bonafede.

Michele De Biase

giovedì 23 aprile 2020

Diario dal carcere #2

Milano, 17 aprile 2020.
Buongiorno, marinai ed équipe. Oggi è una giornata bellissima, soleggiata, nonostante sia un venerdì 17. Dalla finestra, continuo a notare la crescita di auto in circolazione. Sullo sfondo, vedo una grande bandiera italiana che sventola sul tetto di un palazzo. Un segno di speranza in questi tempi difficili. Sto aspettando con impazienza l’ora d’aria, che adesso ha assunto un’importanza diversa rispetto al recente passato, quando la davamo come per scontata. Piccole cose che fanno davvero la differenza. Sono finalmente arrivate le 13 e si va all’aria, tutti dotati di mascherina, Ci sono anche quelli del Centro Clinico, che sembrano spaesati. Il cielo è azzurrissimo, l’aria stranamente pulita e il sole splende. Alle 15, risaliremo in cella: la giornata è finita. Devo dire che una delle poche cose positive di questa situazione è il gran tempo che si ha a disposizione per leggere. Di sera, si vede il TG, aspettando qualche novità  che ci riguardi, ma niente, sembra si siano dimenticati di noi. 
Il carcere non va di moda, il carcere non fa notizia.

Eduart Mecani

mercoledì 22 aprile 2020

Diario dal carcere #1

Milano, 15 aprile 2020.
Quest’anno Pasqua è arrivata in un momento difficile per tutti. Dalla finestra mi sembra di scorgere un piccolo aumento delle auto in circolazione rispetto al recente passato. Spero che sia un buon segno per quanto riguarda il mondo del lavoro, che significhi una ripresa seppur modesta. Le feste pasquali le abbiamo trascorse  chiusi in cella, avevamo richiesto di sviluppare un po’ di socialità almeno con le celle vicine ma la risposta è stata negativa, a causa del rischio di contagio. Il tempo passa lo stesso, fra il cucinare e la lettura di un libro. Ci mancano le discussioni, i Gruppi che davano più valore al tempo in carcere. E’ proprio vero che ti accorgi di quanto siano importanti certe cose solo quando le perdi. Ora, però, è tempo di cambiare passo, di ricominciare a sperare, Spero che il Governo si renda conto della sofferenza dei cittadini, chiusi nelle loro case e colpiti da mille difficoltà. Insofferenza, rassegnazione e rabbia possono essere arginate solo se c’è un obiettivo condiviso, un percorso da compiere insieme. Se mancherà la fiducia verso chi ci governa, tutto diventerà più difficile.

Frase del giorno: “Tutto è nelle mani dell’uomo”. Ecco perché bisogna lavarsele spesso!

Eduart Mecani


lunedì 20 aprile 2020

L'importanza delle emozioni

Lo stato d’allerta e le mille conseguenze legate al virus, ci portano al confronto con noi stessi, su due temi in particolare: la solitudine e l’isolamento sociale ed emotivo. Nel primo caso, credo che vivere fasi di solitudine costruttiva e motivata, possa significare confrontarsi con sè stessi, cercare di capire cosa si desideri dalla vita, provare a disegnare i propri percorsi futuri. Un’altra cosa è l’isolamento verso tutto e tutti, vera anticamera della depressione. Passiamo quindi all’isolamento sociale sul quale, a volte si fa una grande confusione. Alcune persone che non godono di una grande vita sociale, sono portati  a credere che chi invece ha molti contatti e occasioni di socialità siano persone felici e fortunate. Non è così scontato. Quello che fa la differenza è la capacità di vivere emozioni, perché i rapporti che non danno emozione generano solo aridità. Chi vive di emozioni, invece, non sarà mai solo.

Eduart Mecani

sabato 18 aprile 2020

Non meritiamo un'altra condanna

La preoccupazione è forte e l’atmosfera pesante. La paura del virus ci angoscia. Assistiamo alla decimazione della generazione del ’40. Se ne vanno le sagge persone che sulle macerie del Dopoguerra hanno ricostruito il nostro Paese. A loro va il nostro pensiero e cordoglio più sincero ed affettuoso. Qui in carcere, si vive un regime molto stretto: non avere alcun contatto con i familiari è straziante, soprattutto per il senso di impotenza che ci coglie sapendoli fuori. Siamo qui per riabilitarci e riacquisire tutti i nostri diritti, quindi ci appelliamo a chi gestisce gli istituti di pena, perché comprendano la sofferenza di stare chiusi 21 ore al giorno (per alcuni 24 su 24) in celle di 3 metri per 4, angosciati da ciò che avviene ai nostri cari. Si sente poi parlare della possibilità  di reparti Covit 19 all’interno del carcere e questa è una preoccupazione in più, perché in un ambiente come questo noi, gli agenti e chiunque lavori qui saremmo gravemente esposti e rischieremmo di ammalarci come è successo nelle case di riposo. Ci rimettiamo a chi ha in mano il nostro destino: non sarebbe giusto ricevere un’altra e più seria condanna quale è il coronavirus.

Michele De Biase


"Io non sono razzista, ma..."

“Io non sono razzista, ma…”. Ma cosa? 
Oggi sono i poveri ad essere colpiti dal razzismo. Se in Italia sbarcassero nordafricani ben vestiti, con il portafoglio gonfio di carte di credito, si farebbe a gara ad ospitarli. Un esempio di ciò, sono i campioni dello sport, gli attori, le modelle e tutti quelli che appartengono al grande circo del successo- Se sei ricco, il colore della tua pelle, la tua religione, la terra d’origine, sono dettagli irrilevanti. Il povero di colore è disprezzato non perché nero ma perché povero! I reati d’odio razziale colpiscono un senza dimora su due. Perché? La spiegazione è difficile da digerire. La verità va ricercata nella struttura della società consumistica cui apparteniamo tutti, corpo e anima. Misuriamo noi stessi e gli altri in base ai nostri consumi, al nostro censo. Quando, per varie ragioni, perdiamo il nostro potere d’acquisto, perdiamo la nostra identità. Il povero precipita in un vuoto sociale, viene espulso dal sistema del consumo. Diventa un individuo non necessario, inutile, sacrificabile, indegno di pietà e comprensione. 
“Io non sono razzista, ma…” Hai ragione: sei molto peggio!

Eduart Mecani

giovedì 16 aprile 2020

Siate forti!

Mi chiamo Kevin Shaqiri, e sono entrato alla Nave di San Vittore con l’intenzione di fare un buon percorso di recupero. Tutto andava bene fino al giorno della rivolta, del tutto inaspettata, che ha aggravato le nostre condizioni di vita, costringendoci a stare in cella. A questo si è aggiunta la grave preoccupazione del Coronavirus con tutti i suoi morti e i molti contagiati. Soffriamo molto soprattutto per le nostre famiglie che, per evitare il contagio, non vediamo più. Stiamo però cercando di essere forti di fronte a questa grande emergenza. Faccio le mie più sentite condoglianze a tutte le persone che hanno avuto lutti fra i propri cari e ringrazio di cuore tutti gli operatori, i medici, i volontari che ci aiutano a combattere il virus a rischio della vita.
Siate tutti forti!

Kevin Shaqiri.

Il sole dopo la tempesta.

Buon giorno a tutti. Un paio di mesi fa, la nostra Nave è stata investita da una tempesta senza precedenti che ha lasciato gravi danni, rischiando di affondarci e sbalzando fuori bordo qualche marinaio. Una volta fatta la conta dei danni, dei feriti e dei dispersi, abbiamo cominciato a riparare la nostra Nave, grazie al nostro Capitano, ai suoi vice e ai marinai che hanno saputo reagire a questo tragico evento. Detto questo, spero si possa ripartire presto e nel migliore dei modi. Faccio un grosso “in bocca al lupo” a tutti e ricordatevi: dopo la tempesta esce sempre il sole!

Parola del giorno: Ammutinamento.
Reato di insubordinazione commesso da membri dell’equipaggio di una nave o da soldati che non obbediscono agli ordini del comandante, dando vita a tumulti e ribellioni.

Francesco Scilimati

mercoledì 15 aprile 2020

La Giustizia ci aiuti


Sono Stefano Puleo e sono arrivato alla Nave il 10 ottobre scorso. Mi sono subito ambientato con i nuovi compagni del piano, facendo amicizia con tutti loro. I problemi sono iniziati quando hanno bloccato i colloqui con i familiari, così importanti per noi detenuti. Si percepiva tensione, l'aria era pesante, anche se mai avrei pensato che si potesse arrivare ad una rivolta. Credo che anche le notizie provenienti da altri carceri, che parlavano di rivolte in atto, abbiano contribuito a far esplodere la situazione a San Vittore. Per quanto riguarda noi della Nave, ci siamo trovati in mezzo alla rivolta proveniente dai piani più bassi, senza poter fare altro se non a proteggere le nostre celle. Quando tutto è finito, è restata solo la paura di essere accusati per quanto accaduto, aggiungendo un'altra pena da scontare senza aver fatto nulla per meritarla. Adesso siamo qui, chiusi in cella avendo solo qualche ora d'aria. Così, altre sofferenze si aggiungono a quelle che avevamo già. La preoccupazione principale è legata alle nostre famiglie là fuori. Io ho qualche familiare positivo al virus, alcuni in quarantena, altri ricoverati in terapia intensiva e la mia speranza è solo quella di poter usufruire dei domiciliari per stare loro vicino. Mi aspetterei dalla giustizia che consideri con attenzione la possibilità di un indulto o, appunto, dei domiciliari, prima che il virus abbia la meglio anche in carcere o che scoppino altre rivolte. Stiamo però cercando di essere forti e di non arrenderci. Un' ultima cosa: un grande grazie a tutti gli operatori, medici ed infermieri che si stanno sacrificando rischiando la loro vita e un pensiero a tutti quelli che la vita l'hanno purtroppo persa.
Speriamo sempre per il meglio e di essere forti per affrontare questa vita.

Stefano Puleo

L'ansia come compagna


Mi chiamo Luigi Miraglia, e mi trovo in carcere a San Vittore. Sto vivendo questo periodo con ansia e paura. Paura di potermi prendere il coronavirus, perché, se dovesse accadere, saremmo rovinati qui in carcere, dove le strutture sanitarie non sono all'altezza di un'emergenza di questo tipo. Questo mi preoccupa non poco. Sono consapevole di aver sbagliato e di dover scontare la mia pena, come è giusto che sia, ma qui rischiamo di dover pagare con la vita, nonostante in Italia sia stata abolita la pena di morte. Fuori da queste mura si ammalano anziani, giovani, uomini e donne: se non si riesce a stare al sicuro fuori, come possiamo stare tranquilli qui? Ci sentiamo sequestrati, anche per il fatto di non potere vedere le nostre famiglie, e abbiamo la sensazione di non stare più scontando una pena, ma di rischiare la vita ogni giorno.

Luigi Miraglia

Intervista al virus #2

Qui base del fronte occidentale, sede Comando Centrale italiano: la guerra procede come previsto, i bipedi sono allo sbaraglio. Il piano di spostarci nel vecchio continente e usare come ponte di lancio il Bel Paese per la conquista del mondo, è stata più proficua del previsto. I nostri vertici ci hanno visto lungo, d’altronde la storia di questo territorio parla chiaro, un Paese disunito su tutti i fronti dove i politici sono sempre stati più impegnati a riempirsi le tasche che a pensare all’interesse dei propri cittadini, lavorando in coesione per un interesse comune: “a dir poco corrotti”!
Infatti le loro difese si sono dimostrate sin da subito ridicole, sono state sfondate in un attimo, permettendoci di dilagare ovunque. Incapaci di prendere decisioni drastiche e prendendone quando ormai etra già troppo tardi. Stupidi burocrati umani, ora non vi rimane che fare i conti con la vostra coscienza, se mai ne avete una, e con la piena responsabilità oggettiva di così tanti morti!
L’Europa è ormai conquistata, le nostre azioni fulminee sono state efficaci e nessuno ha reagito in tempo. Hanno sperato sino all’ultimo che non accadesse nulla, hanno pensato a salvaguardare i bilanci statali a discapito della salute del popolo. Non capiremo mai queste scimmie spelacchiate che trascorrono un’esistenza più improntata all’apparire piuttosto che all’essere e all’avere piuttosto che all’essere. Eppure i loro agenti OMS li avevano avvisati! Ora tocca all’Est e ai ciancioni e boriosi americani, ancora convinti che li avremmo tenuti fuori dal conflitto mondiale. Le nostre armate gli daranno la giusta lezione, ridimensionando la loro sindrome di onnipotenza. Loro ci hanno sottovalutato più di tutti e probabilmente pagheranno il prezzo più alto. Siamo cinici e spietati. Al sud dell’Italia potremmo fare un’ecatombe, un gran numero di vittime perché loro non sono pronti. Madre natura ci ha dato questo compito e noi lo eseguiremo. È troppo tempo che gli umani fanno quello che vogliono , disobbedendo all’ordine naturale delle cose, sentendosi padroni di un mondo di cui sono solo figli. Big Mother gli sta infliggendo una grande lezione. Speriamo che i sapiens capiscano e si comportino di conseguenza: solo il rispetto dell’ambiente, dei suoi abitanti, unitamente a una corretta convivenza potrà evitargli l’estinzione. Non sanno che il vero virus che gli attanaglia è l’ignoranza, un virus molto più letale del #Covid19.
Peter Serina

Intervista al virus #1


Poveri stupidi, pensavano veramente di riuscire a tenere me e i miei compagni sotto vetro in quello stupido laboratorio? È bastato un semplice errore da parte di quelli infetti e ne abbiamo approfittato subito per fuggire. D'altronde, privi di quelle tute e di quegli strani macchinari, non sono neanche in grado di vederci o percepire la nostra presenza. Non è stato difficile nasconderci dentro di loro per fuggire da quella prigione. Ora tocca noi vendicarci di quegli strani organismi del macro mondo. Siete venuti a importunarci, eravamo così comodi all’interno dei pipistrelli: siete voi che avete cominciato la guerra! Adesso vi daremo la lezione che meritate. Siete sul pianeta da così poco tempo e pensate già di comandare, noi siamo qui da milioni di anni, ancora prima dei dinosauri. Se non fosse stato per quel meteorite che ne ha provocato l’estinzione staremmo meglio, perché loro, a differenza vostra, ci portavano il giusto rispetto. Vi attaccheremo per via aerea, ci insedieremo nel vostro sistema respiratorio, facendo talmente riscaldare gli organi interni da far sopraggiungere la morte. Così mastodontici e così fragili, dobbiamo muoverci con estrema rapidità, il fattore sorpresa sarà essenziale. Attaccheremo i soggetti più deboli, scatenando il panico nelle fila nemiche. Siamo superiori numericamente e la loro disorganizzazione sarà un’arma a nostro favore. Non saremo letali per tutti, ma si ricorderanno di noi per molto tempo. Stiamo già evolvendo e la battaglia si farà ancor più dura. Non riusciamo a capire come degli esseri così irrispettosi del pianeta, ne abbiano preso il controllo. Non hanno ancora capito che qui tutto ha un equilibrio e che se questo viene alterato qualcuno si farà sempre male?
Stupidi esseri onniscienti con solo quattro arti! La guerra andrà avanti a lungo, abbiamo sfondato le linee orientali, siamo giunti in Occidente vincendo la misera resistenza italiana del nord. A sud potremmo veramente far devastazione. Sappiamo bene cosa è importante nell’evoluzione: sopravvivere a ogni costo! Noi siamo maestri, avremo la nostra rivincita a nome di tutti gli esseri viventi soggiogati dal genere umano.
Peter Serina



lunedì 13 aprile 2020

La voce degli attori per i racconti dell’Oblò



Le storie e testimonianze scritte dagli ospiti, dalle volontarie e dai volontari, dalle operatrici e dagli operatori del reparto La Nave per l’Oblò, sono anche su Youtube, interpretate dalle attrici e dagli attori del Macrò Maudit Teàter. Un modo in più, per far giungere all’esterno la voce di chi continua a produrre riflessioni e racconti in presa diretta dal reparto che dal 2002 è specializzato nella cura e trattamento delle dipendenze nel carcere milanese di Piazza Filangieri. Così ora alcuni tra i testi qui pubblicati, potrete trovarli anche  sul canale Youtube dell’associazione Amici della Nave ai seguenti link.

“La Nave di San Vittore, viaggio nella Quarantena”
(narratore: Alessandro Castellucci)

La Nave di San Vittore, diario di bordo
di Graziella Bertelli e Laura Formigoni
(narratrici: Anna Begni e Patricia Conti)

“Il (più) vecchio e il mare”
di Tiziano Scalzo
(narratore: Alessandro Castellucci)

“Quello che non ho (e quello che ora ho)”
di Christian Pacinella
(narratore: Alessandro Castellucci)

Tutti i racconti pubblicati sul canale Youtube dell’associazione Amici della Nave sono raccolti nella playlist seguente:
“La Nave di San Vittore, i racconti dell’Oblò”

giovedì 9 aprile 2020

Superare la paura

Carissimi amici miei, pensavamo che questo virus sarebbe stato passeggero ma purtroppo era solo l’inizio. Giorno dopo giorno, si peggiorava sempre più ed ero molto preoccupato, non tanto per me, quanto per la mia famiglia, soprattutto per mia figlia e mia madre che si trovano da sole in Albania. In Albania le strutture ospedaliere non sono all’altezza e per questo ho il terrore che anche là esploda l’epidemia. Mio figlio, per fortuna, si trova in Italia con sua madre, e posso sentirli quasi ogni giorno per telefono e una volta alla settimana in video chiamata. Questo mi permette di vederli e capire che stanno bene. Stare fra queste quattro mura è duro. Vedo i telegiornali, sento ciò che accade in tutto il mondo e spesso mi commuovo fino a farmi scorrere le lacrime sul volto, leggendo i numeri dei decessi. Ma bisogna superare la paura e cercare di vedere la luce in fondo al tunnel. Dopo un male c’è sempre qualcosa di buono, e spero per noi che la prima di queste cose belle sia la riapertura della Nave, per stare di nuovo insieme al nostro capitano, a tutta l’équipe e ai marinai. Non vedo l’ora.

Feliks Precetaj

Mai arrendersi

Finalmente segnali di normalità tornano a mostrarsi nelle nostre giornate. La quiete nella sezione, fa respirare un’aria nuova. Ho visto la Nave nel pieno del suo splendore ed efficienza e purtroppo l’ho vista devastare e sparire in un soffio, a causa di pochi personaggi che, pieni di odio nei confronti delle istituzioni, hanno cercato di affondarci. Non ci sono però riusciti, perché siamo ancora in piedi, pronti a ripartire con ancora più entusiasmo e voglia di proseguire tutti insieme. Sono sicuro che le nostre salette torneranno ad ospitare le nostre discussioni, belle o pesanti che siano. Per ora il virus ci ostacola ancora, ma anche lui svanirà e allora non avremo più impedimenti!

Francesco Scilimati

La libertà richiede responsabilità

Mi chiamo Andi Arapi e sono un detenuto del terzo reparto, dove si trova la Nave. Sono qui da due anni e questo è uno dei momenti più difficili che abbia vissuto. Si fa fatica ad andare avanti ma non abbiamo intenzione di mollare. Qui, in carcere, non è facile mantenere le distanze sociali, avere le giuste mascherine e ad igienizzare tutto. Spero che i contagi non aumentino, perché se dovesse succedere sarebbe un grave problema per la mancanza di strutture mediche adeguate.
Da quando c’è stata la rivolta, siamo chiusi nelle nostre celle tranne tre ore d’aria, una alla mattina e due al pomeriggio, abbiamo gravi difficoltà a seguire le indicazioni sanitarie del Governo ma facciamo quel che possiamo. Quello che mi fa arrabbiare sono i cittadini colti a spostarsi senza motivo e giustamente multati. Pensino a noi detenuti che viviamo questa situazione in carcere, in totale assenza di libertà, e che nonostante tutto non molliamo e andiamo avanti, facendoci forza l’uno con l’altro. E’ davvero così impossibile rispettare le regole?

Andi Arapi

La lezione del Coronavirus

Una delle tante lezioni che ci ha dato il Covid – 19 è l’umiltà. Adesso siamo tutti presi dalla paura di essere infettati, e questo ci fa mancare quelle piccole cose che ci aiutavano come una stretta di mano o un abbraccio. Non riusciamo a mantenere le distanze e il nostro umore varia, a volte siamo generosi a volte egoisti, siamo aperti o intolleranti, arroganti o umili. I notiziari e i giornali dicono che tutto passerà e che si tornerà alla vita normale. Ma non sarà così, per me. Troveremo un mondo carico di sofferenza e di rabbia. Continuano a dire che da questo incubo usciremo migliori e debbo dire che è aumentato il senso di fratellanza, di speranza e coraggio fra noi detenuti, anche i più scettici. Siamo tutti diversi, emotivamente e razionalmente ma dobbiamo essere pronti a ripartire e a non dimenticare la lezione che il virus ci sta insegnando.
Chiudo dicendovi di seguire le regole per stroncare questo virus. State a casa!

Eduart Mecani

martedì 7 aprile 2020

L’attesa


1 aprile 2020, San Vittore
Il silenzio è padrone, la sezione una volta più attiva di tutto l’istituto è spenta. Si sente qualche voce, perlopiù dalle televisioni accese. Sono lavorante e vengo liberato per consegnare la spesa, cerco di sostenere con due parole di conforto i miei compagni, mi sforzo di sorridere, ma tra una parola e l’altra devo spaziare con lo sguardo e notare il vuoto delle salette, il buio della sezione. I resti di ciò che è stato un percorso molto valido, il dispendio di energie dell’équipe, il nostro impegno, si riassumono nel cercare di mantenerci in sintonia con i compagni e nel gestire le giornate in stanza dialogando, scrivendo, leggendo e, dato che mi sono autonominato chef, creando piatti nuovi e impegnativi così da trasformare queste giornate scure in qualcosa di buono per tutti noi.
Antonio Gallarello

Le regole del gioco



2 aprile 2020, San Vittore.
Non ho davvero parole per esprimere tutti i sentimenti che esplodono nel mio cuore, un senso di vera impotenza che ti stringe la gola, per questi giorni vissuti in balia di un killer inumano che sta mietendo quel rigoglioso campo di fiori che è il genere umano. Sprofondo nel pianto interminabile di un dolore mai vissuto; riesco a percepire il dolore e la sofferenza che si prova quando un figlio, una mamma, un padre o un fratello, un uomo, cadono preda di questo famelico assassino che non fa distinzioni di ceto, di classe, come se il male ci avesse stretto in una morsa mortale. Ci separa, noi esseri viventi che siamo stati generati per convivere, amarci, odiarci, ma sempre insieme. Non ci dà nemmeno l’alternativa di salutare con affetto i nostri cari. Ci sentiamo come risucchiati in un vortice senza speranza, anche se noi stessi dovremmo unirci tutti contro questo nemico, usare più rispetto verso chi abbiamo scelto come guida, la nostra intelligenza è illimitata se è unita: e questo è il momento di combattere con tutte le nostre armi per la sopravvivenza della nostra specie, che di questo si tratta, di una grande lotta per la sopravvivenza e nient’altro.
Queste sono le parole di chi non sa o di chi non ha provato. 
Io ho combattuto il mio demone che in sintesi si chiama epatite C, il più forte. L’ho portato nel mio corpo per vent’anni. A volte aumentava con uno stile di vita da sconsiderato, superficiale, a volte diminuiva con una sana alimentazione e con la ginnastica per fortificare gli anticorpi. Ho provato in tutti questi anni terapie che avevano degli effetti devastanti, come l’interferone o la ribavirina, e altre cure che smettevo perché non ce la facevo: ho sempre pensato che non ce l’avrei fatta. Ma la mia ostinazione e l’istinto di sopravvivenza mi hanno dato la forza per sperare che un giorno avrebbero trovato la cura. Ne ho passate tante, a volte la depressione mi buttava nelle droghe e ogni cosa che facevo non aveva un senso. Demoralizzato e chiuso nella solitudine di questo segreto, perché mi sentivo un appestato con un corpo che stava deteriorandosi, alla però fine la cura è arrivata. Sono stato uno dei primi a farla. Dopo sei mesi la vittoria sul virus. Mi sentivo come se il mondo intorno a me fosse cambiato anche se parte della mia vita era andata a rotoli, e si trova ancora a rotoli perché sono in carcere.
E oggi di nuovo mi trovo a combattere con un altro virus, per me ancora più letale: mi accorgo con indignazione che tante persone agiscono superficialmente, non ascoltando le direttive delle persone che ci custodiscono e tutelano la nostra salute, non dando il peso dovuto a questo momento in cui bisogna agire con responsabilità verso se stessi e verso gli altri che ti sono vicini. Abbiamo il dovere di rispettare la vita. 
Sergio Fini

Ora che tutto è calmo


31 marzo 2020, San Vittore.
Ora che tutto è più calmo attendiamo che il Covid-19 ridia il via al mondo che conosciamo. Compreso il nostro, qui all’interno della casa circondariale. Mentre tutto scorre, un bagliore di luce di speranza lo dà il vedere le dottoresse sempre bene, e rientrare, seppur provate dall’accaduto che credo sentano molto, e parlare con i compagni che chiedono se tutto ripartirà, anche poco per volta. Il mio pensiero è che per quanto deplorevole sia stato l’accaduto, in quel maledetto lunedì 9 marzo 2020, nessuno si è fatto male. Gli oggetti si ricomprano, anche se dispiace. Dobbiamo andare avanti.
Antonio Gallarello

Quello che non ho (e quello che ora ho)


30 marzo 2020, San Vittore.
Sono seduto nel cucinotto della mia cella, bevo uno dei mille caffè giornalieri e fumo una sigaretta. Guardo fuori tra le inferriate della finestra e piove, il cielo è grigio, c’è un vento freddo, quasi gelido. Sembra quasi che l’universo voglia esprimere il mio stato d’animo e sbattermelo in maniera spietata sul muso. I corvi cantano. Ce n’è uno appollaiato sul filo dei tiranti del carcere. Intanto la pioggia cade. Forma delle pozzanghere giù nei passeggi dell’ora d’aria. Uno dei corvi beve, gli altri svolazzano qua e là nel cielo incuranti della pioggia che viene giù. Io, inerme, non posso fare altro che assistere a tutto questo. E penso. Penso a quando anch’io, incurante di tutto, ero libero di fare ciò che volevo. Giusto o sbagliato che fosse, ma libero.
Beh, è proprio vero che capisci l’importanza di qualcosa solo quando ti viene a mancare, o anzi ti viene tolta. Io sono stato privato della mia libertà drasticamente, quando meno me lo aspettavo. Pensavo di poter volare qua e là come e quando volevo. Proprio come fanno i corvi adesso davanti ai miei occhi. Io adesso quella libertà posso solo osservarla da dietro delle sbarre. E la cosa mi fa riflettere molto. Come sarebbero potute andare a finire certe mie azioni se il carcere non mi avesse fermato? Ora sarei potuto essere in qualsiasi posto. Ma non veramente libero. Perché schiavo di tutte le sostanze che assumevo giorno dopo giorno e che mi dicevano di essere libero. Quindi, per quanto per me sia frustrante ammetterlo, il carcere mi ha salvato. Ora che sono qua e che mi sono ripulito posso dire che la sostanza non mi manca.
La libertà, quella sì che mi manca. E giorno dopo giorno questo peso si fa sentire sempre di più. All’inizio non era così. Vivevo la carcerazione in modo sereno, consapevole dei miei errori. Ma in questo ultimo periodo in cui i colloqui sono bloccati, in cui siamo chiusi in cella tutto il giorno a parte le ore d’aria e c’è questa pandemia globale che minaccia… anzi no: che è già presente nelle carceri, in questo periodo la vivo male. In genere non mi piango addosso. Cerco sempre di affrontare i problemi per venirne fuori. Ma in questa situazione non ho armi per combattere questo mostro che mi sta assalendo. La speranza è che tutte le istituzioni facciano qualcosa di più concreto per tutti noi.
Intanto mi limito a guardare l’unica forma di libertà che mi si palesa in questo momento. Corvi che volano alti nel cielo, attorno alle mura di San vittore. Nella speranza che presto possa riprendere il volo anche io. E anche se non so quando sarà, mi concedo di sperare che questo non accada tra molto. Quindi barcollo… ma non mollo.
Christian Pacinella

Il (più) vecchio e il mare


30 marzo 2020, San Vittore. 
Buongiorno a tutti voi, buongiorno a tutti compagni presenti e non più presenti in questo reparto. Sono passati 21 giorni da quel maledetto 9 marzo 2020 che ha segnato in maniera indelebile il nostro reparto, il carcere di San Vittore e tutto il sistema carcerario italiano. La Nave – così si chiama il nostro reparto qui al terzo raggio - quel giorno è andata completamente distrutta. Distrutti anni di lavoro, di applicazione, di fatica, di gioie, di eventi, e anche ricordi di compagni nel corso del tempo sono passati, e a volte ritornati, in questo reparto di trattamento avanzato per la cura delle dipendenze.
Mi preme sottolineare ancora una volta che l’assalto è stato praticamente improvviso: noi “marinai” non eravamo a conoscenza dell’arrivo di un’orda di barbari che ha distrutto in breve tutto ciò che c’era da distruggere. Penso anche che non fosse una forma di protesta per le restrizioni dovute al coronavirus, ma un modo per distruggere qualcosa di bello e positivo creato e voluto da tutti i componenti dell’équipe, da tutti i detenuti che nel tempo hanno lasciato qui alla Nave parte della loro esistenza. Non voglio entrare nel merito della gravità degli atti. Voglio semplicemente esprimere lo sconforto, la delusione, il rammarico che ho vissuto il giorno seguente nel cominciare a pulire, a rimettere tutto in ordine, come buona parte dei miei compagni. La Nave quel 9 marzo è affondata. Ma da oggi, 30 marzo, con il virus maledetto che miete morte, dolore, disagio, voglio pensare positivo. Vogliamo darci una speranza: vogliamo riscattarci. E il nostro pensiero va anche a tutte le nostre intrepide donne dell’équipe, con in testa Graziella Bertelli, Laura Formigoni, Olga Picozzi, Barbara Moretti, Matilde Corti, Laura Vismara, la nostra infermiera Alda Pizzoni, e tutti i volontari che non ci hanno dimenticato.
Noi siamo pronti a ricominciare, voi siete da elogiare per il vostro impegno che va aldilà delle giustificate diffidenze sull’effettiva utilità del percorso di trattamento per noi dipendenti. Abbiamo combattuto, stiamo combattendo. E non ci spaventa più nulla.
Grazie per quello che mi avete regalato.
Il più anziano del reparto, Tiziano Scalzo, qui dal 15 dicembre 2017.

lunedì 6 aprile 2020

La Nave di San Vittore, diario di bordo: rotta Covid-1



24 febbraio, lunedì
Da oggi non entreranno più i volontari a San Vittore. Solo per questo periodo di emergenza sanitaria. Da oggi anche i colloqui con i parenti dei detenuti sono sospesi. Siamo alla Nave. La notizia sorprende tutti, per noi operatori sanitari non cambia l’ingresso, non cambia il luogo ma dobbiamo inventarci un nuovo modo di lavorare che ci possa far remare insieme anche senza stare tutti insieme. Niente più gruppi? L’idea è quella di vederci almeno al mattino per la solita riunione di organizzazione giornata e incontrarci in corridoio mantenendo le dovute distanze.
I marinai sono disorientati. Di più: sono incazzati perché i colloqui con i parenti sono sospesi e non capiscono il senso di questa decisione. Decidiamo quindi che un gruppo di lavoro possibile da organizzare sarà quello con l’infettivologo. Pensiamo che questo almeno aiuterà tutti a capire, a fare un po’ più di chiarezza.

27 febbraio, giovedì
Arriva il medico infettivologo per la lezione. Si cerca di portare luce dentro un mondo in piena confusione: lo è fuori, figurarsi dentro. Gli animi dei ragazzi sono sospesi, per aria. Cerchiamo insieme di risolvere i problemi pratici per permettere a tutti le telefonate.

2 marzo, lunedì
Da oggi solo colloqui individuali. I marinai girano nel reparto in balia del tempo vuoto e minaccioso. La minaccia arriva dall’esterno, la sentiamo tutti. A parte l’ora d’aria, la palestra, i corridoi, a parte il nostro sostegno giornaliero, il tempo è lungo. Il silenzio della società esterna si fa particolarmente sentire. C’è paura, c’è angoscia, e soprattutto c’è solitudine. C’è la preoccupazione per chi è dentro ma c’è anche la preoccupazione per chi è fuori.  Il coronavirus inizia ad essere una minaccia reale. Le strade sono silenziose, si sentono passare le ambulanze.

7 marzo, sabato
In alcune carceri italiane sono scoppiate delle rivolte. I detenuti chiedono l’indulto e l’amnistia vista la situazione sanitaria. E’ sabato sera, noi operatori siamo a casa. Alle 21 arriva una telefonata dal direttore di San Vittore. Dice così: “I detenuti della Nave protestano e lanciano oggetti nel corridoio; la preoccupazione è che anche gli altri detenuti degli altri raggi si uniscano alla protesta. La tensione è alta”. Sono i minuti in cui la televisione ha appena annunciato il nuovo decreto ministeriale per affrontare l’emergenza sanitaria: si chiude la Regione Lombardia. Questa notizia scatena ancora di più il senso di isolamento e l’angoscia di fronte all’abbandono. Ma la protesta rientra. La domenica trascorre in silenzio.

9 marzo, lunedì
Noi operatori della Nave saliamo in reparto. Abbiamo stabilito di fare una riunione con i marinai in corridoio per cercare di affrontare insieme il difficile momento di isolamento. Capiamo che la scarsa considerazione da parte della società esterna li ha fatti sentire ancora più soli. Sono le 9,30. Alle 10 inizierà la riunione in corridoio. Noi operatori ci incontriamo nell’ambulatorio della Nave. Abbiamo appena iniziato quando dal corridoio arrivano rumori che si fanno via via più vicini e più forti. All’improvviso vediamo salire decine di detenuti dai piani sottostanti. Si sentono solo rabbia e grida. Si vede tanta distruzione. 
Noi operatori veniamo accompagnati da alcuni marinai all’uscita. C’è grande preoccupazione per tutti.  Il carcere è in rivolta. I nostri animi sono congelati. Come quando scoppia una bomba e non sai più dove andare. Fuori arrivano notizie catastrofiche. Solo la sera la rivolta viene sedata.  

10 marzo, martedì
La Nave è distrutta. Gli atti vandalici di ieri hanno messo in ginocchio tutti. Operatori, agenti, detenuti. I nostri marinai sono tutti chiusi nelle loro stanze, il piano è deserto, i vetri sono rotti, i libri bruciati, le stanze di socialità piene di macerie. Tanto freddo e tanta rabbia. 
Difficile pensare e riuscire a darsi e dare delle risposte. Improvvisamente tutto diventa ostile, viene voglia di scappare e di non pensarci più. Fa male vedere i marinai chiusi nelle loro stanze, fa male vedere i luoghi distrutti, fa male ricordare che fino a quasi ieri si cantavano i cori accompagnati dalle chitarre, dalla fisarmonica e dal pianoforte di cui oggi restano solo i tasti rotti e un cumulo di pezzi in terra.

------------------------------

Ecco, da allora noi operatori ci siamo recati ogni giorno in reparto. Nelle nostre teste e nei nostri animi sono passate tante emozioni, tanti sentimenti anche ambivalenti e contrastanti. La fortuna è stata quella di essere un gruppo coeso, in grado di vedere la situazione da angolature diverse e cercare delle risposte in comune. C’è stato bisogno anche di un po’ di distacco da tutte queste emozioni per riprendere il mare. Tornare a navigare vuol dire trovare la forza di ricostruire e riprogettare.
I nostri Amici della Nave, l’associazione che da tempo collabora con noi nelle attività riabilitative, ci soccorrono e ci aiutano. Ci scrivono lettere meravigliose che ci confortano e incoraggiano a non mollare. Il virus persiste. La situazione sanitaria italiana è sempre più allarmante. I ragazzi della Nave sono sempre chiusi nelle loro stanze e avviliti dalla situazione globale del carcere e del mondo intero. 
Noi decidiamo di incontrarli tutti separatamente, vista l’esigenza sanitaria. C’è bisogno di spiegazioni, di sostegno ma soprattutto di far sentir loro la nostra forza e la voglia di ricominciare. 

E allora si inizia dalla redazione de L’Oblò, il nostro giornale. Così come L’Oblò è stata la prima attività riabilitativa della Nave, nata nel 2002, oggi è la prima attività che riprende. I marinai hanno già ripreso a scrivere, su quello che è successo e su quello che sta succedendo: il mondo continua, noi anche. Le riunioni di redazione avvengono via Zoom tra noi operatori e i giornalisti-volontari ai quali riportiamo le riflessioni e le proposte dei ragazzi che a loro volta possono scrivere i loro articoli via email. I colloqui con i familiari sono ripresi via skype e per ciascuno di loro sono state autorizzate telefonate per dieci minuti al giorno grazie all’impegno, anche in questo momento non facile, del direttore del carcere Giacinto Siciliano. Il prossimo numero de L’Oblò uscirà presto online. In attesa che anche il giornale di carta riparta, che i colloqui con i parenti riprendano anche di persona, che i volontari possano tornare, che tutte ma proprio tutte le nostre attività possano riprendere il largo. Come e più di prima. Dopo la tempesta, come ha detto qualcuno, c’è un mare di roba da fare.

Graziella Bertelli - Laura Formigoni

Viaggio nella Quarantena



Il 4 aprile sono stati 40 giorni esatti. Tecnicamente una “quarantena” nella sua accezione originaria. Quella che si intendeva prima. Quaranta giorni da quel 24 febbraio, quando a Milano tirava ancora aria di carnevale ambrosiano, e la Quaresima doveva ancora iniziare, e la Lombardia l’avrebbero chiusa solo due settimane più tardi. Invece nel mondo delle carceri la quarantena e la Quaresima iniziarono proprio quel giorno, in sincrono perfetto e prima che in molti altrove. Quel giorno per ragioni di prudenza sanitaria vennero sospesi gli ingressi dei volontari in carcere e i colloqui dei detenuti con i familiari. Sospese anche le attività di gruppo. Per sicurezza, naturalmente. Il mondo del carcere, sulla sicurezza, è sempre avanti.
Del resto anche la parola isolamento, che per tutti noi cittadini è diventata solo oggi così consueta, e indice sì di un sacrificio, ma rassicurante per tutti no?, per il mondo del carcere è una parola di uso assai più antico. E non altrettanto rassicurante. “Quindici giorni di isolamento!”, nella tradizione lessicale del carcere, è sempre stata una frase legata più a un rapporto disciplinare che non a una cartella clinica. E si direbbe anzi che le parole carcere e isolamento siano parenti strette per loro natura: Alcatraz, Capraia, Asinara, Montecristo son tutte isole. E l’idea che il carcere possa funzionare meglio se “aperto”, non se “isolato”, è molto ma molto recente rispetto all’età che hanno le carceri. E di applicazione ancora piuttosto rara.
Ma il reparto La Nave di San Vittore, quello in cui da quasi vent’anni vengono curati i detenuti con problemi di dipendenza, ha sempre trovato non un semplice ingrediente bensì il suo fondamento principale nel contrario esatto dell’isolamento: il suo essere, cioè, una comunità. Con ruoli diversi, è chiaro: operatori, professionisti, sanitari, detenuti, volontari di numerose discipline, agenti, educatori. Ciascuno con il suo compito. Ma dentro una idea e una pratica di comunità. La parola isolamento, da un punto di vista sanitario, può volte produrre un bene. Ma la parola da cui nasce, la parola solo, e il suo derivato più terribile, la solitudine, un bene non lo producono quasi mai. E vanno contrastate con la parola insieme
Ora, come stiamo sperimentando tutti noi, i concetti di comunità e di insieme sono proprio quelli che l’emergenza Cpovid-19 sta mettendo alla prova più di ogni altra cosa nel mondo intero. Più ancora della nostra stessa salute. Così l’impatto del virus ha colpito le carceri come ogni altro contesto del nostro vivere e non ha risparmiato La Nave. Ha fermato, come migliaia di altre, anche le attività dell’associazione Amici della Nave.
Quello che segue è il diario di queste ultime settimane, da quel 24 febbraio a oggi, tenuto dalla responsabile del reparto Graziella Bertelli e dalla sua collaboratrice Laura Formigoni. Non ha bisogno di commenti. Se non della conferma che dopo la Quaresima, ogni anno, anche Pasqua arriva. Pasqua che per i cristiani ha preso a significare resurrezione ma che già per gli antichi ebrei voleva dire passaggio, in quel caso addirittura attraverso un mare e con un intero esercito alle spalle. Per noi ha significato, sta significando, che proprio in questi giorni anche i ragazzi della Nave hanno ripreso a scrivere. Li potrete leggere e ascoltare dopo il diario di Graziella e Laura.
La Nave ha preso qualche cannonata. Ma non basterà questo a fermarla. Là fuori c’è molto da fare.