lunedì 6 aprile 2020

Viaggio nella Quarantena



Il 4 aprile sono stati 40 giorni esatti. Tecnicamente una “quarantena” nella sua accezione originaria. Quella che si intendeva prima. Quaranta giorni da quel 24 febbraio, quando a Milano tirava ancora aria di carnevale ambrosiano, e la Quaresima doveva ancora iniziare, e la Lombardia l’avrebbero chiusa solo due settimane più tardi. Invece nel mondo delle carceri la quarantena e la Quaresima iniziarono proprio quel giorno, in sincrono perfetto e prima che in molti altrove. Quel giorno per ragioni di prudenza sanitaria vennero sospesi gli ingressi dei volontari in carcere e i colloqui dei detenuti con i familiari. Sospese anche le attività di gruppo. Per sicurezza, naturalmente. Il mondo del carcere, sulla sicurezza, è sempre avanti.
Del resto anche la parola isolamento, che per tutti noi cittadini è diventata solo oggi così consueta, e indice sì di un sacrificio, ma rassicurante per tutti no?, per il mondo del carcere è una parola di uso assai più antico. E non altrettanto rassicurante. “Quindici giorni di isolamento!”, nella tradizione lessicale del carcere, è sempre stata una frase legata più a un rapporto disciplinare che non a una cartella clinica. E si direbbe anzi che le parole carcere e isolamento siano parenti strette per loro natura: Alcatraz, Capraia, Asinara, Montecristo son tutte isole. E l’idea che il carcere possa funzionare meglio se “aperto”, non se “isolato”, è molto ma molto recente rispetto all’età che hanno le carceri. E di applicazione ancora piuttosto rara.
Ma il reparto La Nave di San Vittore, quello in cui da quasi vent’anni vengono curati i detenuti con problemi di dipendenza, ha sempre trovato non un semplice ingrediente bensì il suo fondamento principale nel contrario esatto dell’isolamento: il suo essere, cioè, una comunità. Con ruoli diversi, è chiaro: operatori, professionisti, sanitari, detenuti, volontari di numerose discipline, agenti, educatori. Ciascuno con il suo compito. Ma dentro una idea e una pratica di comunità. La parola isolamento, da un punto di vista sanitario, può volte produrre un bene. Ma la parola da cui nasce, la parola solo, e il suo derivato più terribile, la solitudine, un bene non lo producono quasi mai. E vanno contrastate con la parola insieme
Ora, come stiamo sperimentando tutti noi, i concetti di comunità e di insieme sono proprio quelli che l’emergenza Cpovid-19 sta mettendo alla prova più di ogni altra cosa nel mondo intero. Più ancora della nostra stessa salute. Così l’impatto del virus ha colpito le carceri come ogni altro contesto del nostro vivere e non ha risparmiato La Nave. Ha fermato, come migliaia di altre, anche le attività dell’associazione Amici della Nave.
Quello che segue è il diario di queste ultime settimane, da quel 24 febbraio a oggi, tenuto dalla responsabile del reparto Graziella Bertelli e dalla sua collaboratrice Laura Formigoni. Non ha bisogno di commenti. Se non della conferma che dopo la Quaresima, ogni anno, anche Pasqua arriva. Pasqua che per i cristiani ha preso a significare resurrezione ma che già per gli antichi ebrei voleva dire passaggio, in quel caso addirittura attraverso un mare e con un intero esercito alle spalle. Per noi ha significato, sta significando, che proprio in questi giorni anche i ragazzi della Nave hanno ripreso a scrivere. Li potrete leggere e ascoltare dopo il diario di Graziella e Laura.
La Nave ha preso qualche cannonata. Ma non basterà questo a fermarla. Là fuori c’è molto da fare. 

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