lunedì 6 aprile 2020

La Nave di San Vittore, diario di bordo: rotta Covid-1



24 febbraio, lunedì
Da oggi non entreranno più i volontari a San Vittore. Solo per questo periodo di emergenza sanitaria. Da oggi anche i colloqui con i parenti dei detenuti sono sospesi. Siamo alla Nave. La notizia sorprende tutti, per noi operatori sanitari non cambia l’ingresso, non cambia il luogo ma dobbiamo inventarci un nuovo modo di lavorare che ci possa far remare insieme anche senza stare tutti insieme. Niente più gruppi? L’idea è quella di vederci almeno al mattino per la solita riunione di organizzazione giornata e incontrarci in corridoio mantenendo le dovute distanze.
I marinai sono disorientati. Di più: sono incazzati perché i colloqui con i parenti sono sospesi e non capiscono il senso di questa decisione. Decidiamo quindi che un gruppo di lavoro possibile da organizzare sarà quello con l’infettivologo. Pensiamo che questo almeno aiuterà tutti a capire, a fare un po’ più di chiarezza.

27 febbraio, giovedì
Arriva il medico infettivologo per la lezione. Si cerca di portare luce dentro un mondo in piena confusione: lo è fuori, figurarsi dentro. Gli animi dei ragazzi sono sospesi, per aria. Cerchiamo insieme di risolvere i problemi pratici per permettere a tutti le telefonate.

2 marzo, lunedì
Da oggi solo colloqui individuali. I marinai girano nel reparto in balia del tempo vuoto e minaccioso. La minaccia arriva dall’esterno, la sentiamo tutti. A parte l’ora d’aria, la palestra, i corridoi, a parte il nostro sostegno giornaliero, il tempo è lungo. Il silenzio della società esterna si fa particolarmente sentire. C’è paura, c’è angoscia, e soprattutto c’è solitudine. C’è la preoccupazione per chi è dentro ma c’è anche la preoccupazione per chi è fuori.  Il coronavirus inizia ad essere una minaccia reale. Le strade sono silenziose, si sentono passare le ambulanze.

7 marzo, sabato
In alcune carceri italiane sono scoppiate delle rivolte. I detenuti chiedono l’indulto e l’amnistia vista la situazione sanitaria. E’ sabato sera, noi operatori siamo a casa. Alle 21 arriva una telefonata dal direttore di San Vittore. Dice così: “I detenuti della Nave protestano e lanciano oggetti nel corridoio; la preoccupazione è che anche gli altri detenuti degli altri raggi si uniscano alla protesta. La tensione è alta”. Sono i minuti in cui la televisione ha appena annunciato il nuovo decreto ministeriale per affrontare l’emergenza sanitaria: si chiude la Regione Lombardia. Questa notizia scatena ancora di più il senso di isolamento e l’angoscia di fronte all’abbandono. Ma la protesta rientra. La domenica trascorre in silenzio.

9 marzo, lunedì
Noi operatori della Nave saliamo in reparto. Abbiamo stabilito di fare una riunione con i marinai in corridoio per cercare di affrontare insieme il difficile momento di isolamento. Capiamo che la scarsa considerazione da parte della società esterna li ha fatti sentire ancora più soli. Sono le 9,30. Alle 10 inizierà la riunione in corridoio. Noi operatori ci incontriamo nell’ambulatorio della Nave. Abbiamo appena iniziato quando dal corridoio arrivano rumori che si fanno via via più vicini e più forti. All’improvviso vediamo salire decine di detenuti dai piani sottostanti. Si sentono solo rabbia e grida. Si vede tanta distruzione. 
Noi operatori veniamo accompagnati da alcuni marinai all’uscita. C’è grande preoccupazione per tutti.  Il carcere è in rivolta. I nostri animi sono congelati. Come quando scoppia una bomba e non sai più dove andare. Fuori arrivano notizie catastrofiche. Solo la sera la rivolta viene sedata.  

10 marzo, martedì
La Nave è distrutta. Gli atti vandalici di ieri hanno messo in ginocchio tutti. Operatori, agenti, detenuti. I nostri marinai sono tutti chiusi nelle loro stanze, il piano è deserto, i vetri sono rotti, i libri bruciati, le stanze di socialità piene di macerie. Tanto freddo e tanta rabbia. 
Difficile pensare e riuscire a darsi e dare delle risposte. Improvvisamente tutto diventa ostile, viene voglia di scappare e di non pensarci più. Fa male vedere i marinai chiusi nelle loro stanze, fa male vedere i luoghi distrutti, fa male ricordare che fino a quasi ieri si cantavano i cori accompagnati dalle chitarre, dalla fisarmonica e dal pianoforte di cui oggi restano solo i tasti rotti e un cumulo di pezzi in terra.

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Ecco, da allora noi operatori ci siamo recati ogni giorno in reparto. Nelle nostre teste e nei nostri animi sono passate tante emozioni, tanti sentimenti anche ambivalenti e contrastanti. La fortuna è stata quella di essere un gruppo coeso, in grado di vedere la situazione da angolature diverse e cercare delle risposte in comune. C’è stato bisogno anche di un po’ di distacco da tutte queste emozioni per riprendere il mare. Tornare a navigare vuol dire trovare la forza di ricostruire e riprogettare.
I nostri Amici della Nave, l’associazione che da tempo collabora con noi nelle attività riabilitative, ci soccorrono e ci aiutano. Ci scrivono lettere meravigliose che ci confortano e incoraggiano a non mollare. Il virus persiste. La situazione sanitaria italiana è sempre più allarmante. I ragazzi della Nave sono sempre chiusi nelle loro stanze e avviliti dalla situazione globale del carcere e del mondo intero. 
Noi decidiamo di incontrarli tutti separatamente, vista l’esigenza sanitaria. C’è bisogno di spiegazioni, di sostegno ma soprattutto di far sentir loro la nostra forza e la voglia di ricominciare. 

E allora si inizia dalla redazione de L’Oblò, il nostro giornale. Così come L’Oblò è stata la prima attività riabilitativa della Nave, nata nel 2002, oggi è la prima attività che riprende. I marinai hanno già ripreso a scrivere, su quello che è successo e su quello che sta succedendo: il mondo continua, noi anche. Le riunioni di redazione avvengono via Zoom tra noi operatori e i giornalisti-volontari ai quali riportiamo le riflessioni e le proposte dei ragazzi che a loro volta possono scrivere i loro articoli via email. I colloqui con i familiari sono ripresi via skype e per ciascuno di loro sono state autorizzate telefonate per dieci minuti al giorno grazie all’impegno, anche in questo momento non facile, del direttore del carcere Giacinto Siciliano. Il prossimo numero de L’Oblò uscirà presto online. In attesa che anche il giornale di carta riparta, che i colloqui con i parenti riprendano anche di persona, che i volontari possano tornare, che tutte ma proprio tutte le nostre attività possano riprendere il largo. Come e più di prima. Dopo la tempesta, come ha detto qualcuno, c’è un mare di roba da fare.

Graziella Bertelli - Laura Formigoni

1 commento:

Alfredo Simone ha detto...

Cari tutii, operatori e marinai, il vostro articolo è molto importante e ve ne sono grato. Leggendo delle rivolte di questi ultimi tempi mi sono venute alla mente quelle degli anni settanta e seguenti; allora le/i prigioniere/i, a quel tempo li chiamavamo così, sapevano di poter contare anche su un sostegno esterno organizzato, ma è vero anche che allora si trattava di carceri speciali sottoposte all’articolo 90, padre dell’attuale normativa 41bis e dintorni; furono lotte molto dure, il cui prezzo fu pagato in massima parte dalle/i prigioniere/i ma in qualche modo riuscirono a smascherare l’ipocrisia diffusa e far conoscere quei lager, Asinara in primis, per quello che erano. Da decenni ormai le cose sono cambiate ma non la logica che sta dietro l’uso della detenzione; i maxi speciali non esistono più sostituiti da sezioni lager all’interno di strutture “normali”, il sovraffollamento non è preso in considerazione neppure di fronte ad una minaccia tanto concreta quanto micidiale come il Covid 19, l’ergastolo ostativo continua ad essere una condanna a morte differita quotidianamente etc.
Non so se queste mie riflessioni raggiungeranno voi marinai, e non intendo criticare gli operatori se riterranno di cestinarle o comunque di non farle proseguire ai destinatari ultimi, che per me sono però i primi.
Chiudo qui mandando un abbraccio solidale a tutte e tutti voi, sperando che la vostra ”permanenza” sia breve e che “fuori” possiate riprendere a vivere libere/i! Alfredo Simone