martedì 7 aprile 2020

Quello che non ho (e quello che ora ho)


30 marzo 2020, San Vittore.
Sono seduto nel cucinotto della mia cella, bevo uno dei mille caffè giornalieri e fumo una sigaretta. Guardo fuori tra le inferriate della finestra e piove, il cielo è grigio, c’è un vento freddo, quasi gelido. Sembra quasi che l’universo voglia esprimere il mio stato d’animo e sbattermelo in maniera spietata sul muso. I corvi cantano. Ce n’è uno appollaiato sul filo dei tiranti del carcere. Intanto la pioggia cade. Forma delle pozzanghere giù nei passeggi dell’ora d’aria. Uno dei corvi beve, gli altri svolazzano qua e là nel cielo incuranti della pioggia che viene giù. Io, inerme, non posso fare altro che assistere a tutto questo. E penso. Penso a quando anch’io, incurante di tutto, ero libero di fare ciò che volevo. Giusto o sbagliato che fosse, ma libero.
Beh, è proprio vero che capisci l’importanza di qualcosa solo quando ti viene a mancare, o anzi ti viene tolta. Io sono stato privato della mia libertà drasticamente, quando meno me lo aspettavo. Pensavo di poter volare qua e là come e quando volevo. Proprio come fanno i corvi adesso davanti ai miei occhi. Io adesso quella libertà posso solo osservarla da dietro delle sbarre. E la cosa mi fa riflettere molto. Come sarebbero potute andare a finire certe mie azioni se il carcere non mi avesse fermato? Ora sarei potuto essere in qualsiasi posto. Ma non veramente libero. Perché schiavo di tutte le sostanze che assumevo giorno dopo giorno e che mi dicevano di essere libero. Quindi, per quanto per me sia frustrante ammetterlo, il carcere mi ha salvato. Ora che sono qua e che mi sono ripulito posso dire che la sostanza non mi manca.
La libertà, quella sì che mi manca. E giorno dopo giorno questo peso si fa sentire sempre di più. All’inizio non era così. Vivevo la carcerazione in modo sereno, consapevole dei miei errori. Ma in questo ultimo periodo in cui i colloqui sono bloccati, in cui siamo chiusi in cella tutto il giorno a parte le ore d’aria e c’è questa pandemia globale che minaccia… anzi no: che è già presente nelle carceri, in questo periodo la vivo male. In genere non mi piango addosso. Cerco sempre di affrontare i problemi per venirne fuori. Ma in questa situazione non ho armi per combattere questo mostro che mi sta assalendo. La speranza è che tutte le istituzioni facciano qualcosa di più concreto per tutti noi.
Intanto mi limito a guardare l’unica forma di libertà che mi si palesa in questo momento. Corvi che volano alti nel cielo, attorno alle mura di San vittore. Nella speranza che presto possa riprendere il volo anche io. E anche se non so quando sarà, mi concedo di sperare che questo non accada tra molto. Quindi barcollo… ma non mollo.
Christian Pacinella

Nessun commento: