martedì 7 aprile 2020

Le regole del gioco



2 aprile 2020, San Vittore.
Non ho davvero parole per esprimere tutti i sentimenti che esplodono nel mio cuore, un senso di vera impotenza che ti stringe la gola, per questi giorni vissuti in balia di un killer inumano che sta mietendo quel rigoglioso campo di fiori che è il genere umano. Sprofondo nel pianto interminabile di un dolore mai vissuto; riesco a percepire il dolore e la sofferenza che si prova quando un figlio, una mamma, un padre o un fratello, un uomo, cadono preda di questo famelico assassino che non fa distinzioni di ceto, di classe, come se il male ci avesse stretto in una morsa mortale. Ci separa, noi esseri viventi che siamo stati generati per convivere, amarci, odiarci, ma sempre insieme. Non ci dà nemmeno l’alternativa di salutare con affetto i nostri cari. Ci sentiamo come risucchiati in un vortice senza speranza, anche se noi stessi dovremmo unirci tutti contro questo nemico, usare più rispetto verso chi abbiamo scelto come guida, la nostra intelligenza è illimitata se è unita: e questo è il momento di combattere con tutte le nostre armi per la sopravvivenza della nostra specie, che di questo si tratta, di una grande lotta per la sopravvivenza e nient’altro.
Queste sono le parole di chi non sa o di chi non ha provato. 
Io ho combattuto il mio demone che in sintesi si chiama epatite C, il più forte. L’ho portato nel mio corpo per vent’anni. A volte aumentava con uno stile di vita da sconsiderato, superficiale, a volte diminuiva con una sana alimentazione e con la ginnastica per fortificare gli anticorpi. Ho provato in tutti questi anni terapie che avevano degli effetti devastanti, come l’interferone o la ribavirina, e altre cure che smettevo perché non ce la facevo: ho sempre pensato che non ce l’avrei fatta. Ma la mia ostinazione e l’istinto di sopravvivenza mi hanno dato la forza per sperare che un giorno avrebbero trovato la cura. Ne ho passate tante, a volte la depressione mi buttava nelle droghe e ogni cosa che facevo non aveva un senso. Demoralizzato e chiuso nella solitudine di questo segreto, perché mi sentivo un appestato con un corpo che stava deteriorandosi, alla però fine la cura è arrivata. Sono stato uno dei primi a farla. Dopo sei mesi la vittoria sul virus. Mi sentivo come se il mondo intorno a me fosse cambiato anche se parte della mia vita era andata a rotoli, e si trova ancora a rotoli perché sono in carcere.
E oggi di nuovo mi trovo a combattere con un altro virus, per me ancora più letale: mi accorgo con indignazione che tante persone agiscono superficialmente, non ascoltando le direttive delle persone che ci custodiscono e tutelano la nostra salute, non dando il peso dovuto a questo momento in cui bisogna agire con responsabilità verso se stessi e verso gli altri che ti sono vicini. Abbiamo il dovere di rispettare la vita. 
Sergio Fini

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