venerdì 21 febbraio 2020

Navigare, verso il futuro.

Arrivai alla Nave, quando era da poco passata Pasqua, il calendario riportava la data 23 aprile. L'accoglienza fu ottima, mi presentai ai marinai della stanza 418 e, ancora un po emozionato, andai al corso del pomeriggio.
Enzo, mio compagno di stanza e peer supporter, mi illustrò il programma della settimana: era iniziata la “navigazione”, mi sarei curato, sarebbe stato faticoso, ma gli alibi erano finiti, ce l’avrei fatta.
Avevo vissuto in una bolla, lamentandomi con frasi del tipo: ”tanto la gente se ne frega” oppure “ma sì, va tutto bene, smetto quando voglio”
Capii nei giorni successivi che seppur recluso, per un gruppo di dottoresse ero una persona come le altre e come tale avevo il diritto di curare la mia dipendenza.
Vissi tutto ciò come un dovere verso me stesso, cominciai a mostrare il meglio, seppur con alti e bassi, dando prova tangibile delle mie capacità, tralasciando le chiacchiere e le fantasie che troppo spesso la sostanza alimentava a tal punto da autoconvincermi, senza in realtà raggiungere traguardi e bruciando quelli raggiunti tempo prima col duro lavoro.
Sono trascorsi circa dieci mesi, ho raggiunto delle mete e ne cerco instancabilmente altre. Ho ripensato, talvolta, alle mie vecchie abitudini. Sin da bambino ho affinato tecniche per eccellere nei furti, poi sono passato alle rapine, ho cercato a lungo in quelle azioni gli affetti mai avuti e perfino negati al mio cuore, senza rendermi conto che mi nutrivo di veleno.
Ora è tutto più chiaro, più limpido, per trovare ciò che cerco devo aprirmi al dialogo, esprimere il mio pensiero insieme a chi mi circonda e credo che Mino lo avesse capito e proprio per questo mi affidò sua figlia, sono certo che il suo gesto fu dettato dall’idea che responsabilizzandomi sarei migliorato, ancora una volta devo riconoscere che l’amicizia vera esiste.

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