Un pomeriggio di sport ed inclusione per sostenere le iniziative di reinserimento sociale della Fondazione di Don Gino Rigoldi, organizzata dall'associazione Amici della Nave. La Football Chance, la squadra formata da ex detenuti di San Vittore e del Beccaria, ha affrontato la Nazionale Magistrati in una partita terminata in pareggio: 1 a 1. Un momento di solidarietà che ha voluto richiamare l'attenzione sulle difficoltà di reinserimento degli ex detenuti.
domenica 9 novembre 2025
Un calcio alla discriminazione
domenica 2 novembre 2025
La prima volta in galera
Gennaio 2024, era una mattina, mi ricordo che mi arrivò la chiamata dal numero dei carabinieri. Lo conoscevo a memoria ormai, era il brigadiere che parlava, lo riconobbi subito, mi chiese di presentarmi in mediatamente in caserma per una notifica, io gli risposi che non potevo e che ero lontano, cosa che era vera, alla fine arrivammo ad un compromesso mi disse: “Russo prima delle 15:00 che poi me ne devo andare”. Lo presi in parola e mi presentai alle 14:55 da lontano lo vidi che stava già salendo in macchina per andare via, ma come mi vide scese subito esclamando: “mannaggia a te”. Mi portò in ufficio e mi disse “è arrivato il momento”, sapevo e non sapevo che sarebbe arrivato visto che poco tempo prima ruppi il beneficio dell’obbligo di firma, ma mai mi sarei aspettato un mandato di carcerazione per 3 mesi di definitivo rimanenti su un reato commesso in minore età. Dopo tutta la solita trafila di prassi all’ultimo il brigadiere fu chiamato di corsa dal maresciallo e tornò con un foglio, mi guardò, sorrise, e mi disse: “ti è andata bene anche sta volta”. Non ci potevo credere avevo altri 30 giorni per poter chiedere una misura alternativa alla detenzione, purtroppo ero conscio che non avrei potuto chiedere gli arresti domiciliari né da mia madre né da mio padre, quindi sfruttai quei 30 giorni per prepararmi mentalmente a quello a cui stavo andando in contro. Febbraio 2024, mattina presto, sentii il citofono di mia madre squillare e passi pesanti sulle scale, la porta della mansarda si aprì, ero sotto le coperte e d’istinto guardai in basso, vidi delle Timberland, alzai lo sguardo, ed erano loro brigadiere e vice, saltai giù dal letto e gli disse “sono pronto”. Beh, che ero pronto in un certo senso era vero, la valigia l’avevo già fatta, ma non ero pronto a vedere i miei nonni che mi aspettavano sulle scale piangendo per salutarmi, in automatico scoppiai anche io in lacrime. Fortunatamente questa volta non rimasi troppo tempo in caserma, feci giusto le impronte e aspettai che il brigadiere capii se mi avesse dovuto portare al Beccaria o a San Vittore. Purtroppo mi toccò il Beccaria, mi sembrava di stare nel bel mezzo di una giungla, porte che sbattevano, gente che urlava, gente che si tagliava, fortunatamente mi misero in un cella con un italiano, poco dopo capii che eravamo gli unici due della sezione e che ero il più grande di tutto l’istituto. Ogni giorno era una guerra, le prepotenze li sono all’ordine del giorno, ci provarono anche con me, appena arrivai, ma mi ribellai facendo capire che non era cosa. Fortunatamente passai li poco più di un mese e mezzo fino alla notte della rivolta dove prese fuoco quasi tutto l’istituto riducendo la capacità ospitativa del 50% da circa 90 posti a 45 nemmeno. Il giorno dopo mi chiamarono partente per bollate, corsi a chiamare mia madre dicendole che finalmente l’incubo era finito. Devo ammettere che ero preoccupato inizialmente, era la prima volta per me in questo mondo e non sapevo dove sarei andato finire, le guardie che mi portarono però mi rasserenarono dicendomi: “stai andando a stare meglio”. “sembra di stare in albergo là, e fidati che non a caso abbiamo scelto voi, siete quelli più tranquilli”. Provai a fidarmi ma di fatto filò tutto liscio. Rimanemmo una settimana al clinico in attesa di altri arrivi e l’ultima sera prima di essere trasferiti in reparto ci fecero partecipare al concerto di Lazza, Nitro e Jack the smoker, una esperienza indimenticabile, non mi sembrava vero di essere passato dall’inferno al paradiso in un solo giorno, ero al settimo cielo. La mattina seguente ci portarono in reparto al quarto, computer, forni, frigoriferi non mi sembrava di stare in galera, ma piuttosto in un hotel come mi diceva la guardia. Visto il periodo non ho avuto la possibilità di iscrivermi a nessun corso da seguire, decisi anche di non lavorare visto che avrei dovuto firmare un vero e proprio contratto di lavoro a differenza del Beccaria e percependo la naspi non mi sarebbe convenuto. Mi dedicai solamente all’ozio, pulizie ed incontri con dottoresse e psicologhe fino al giorno della mia scarcerazione.
Marco Russo
La mia adolescenza
La mia adolescenza non è stata semplice da affrontare. Ero molto giovane, la vita mi ha riservato tristezze e delusioni; sono cresciuto con mio nonno e mia nonna in un quartiere abbastanza malfamato di Milano, in Barona. Mi è sempre mancata la figura paterna e ho patito l’assenza di una madre, sono stato trascurato e questo non mi ha dato modo di condurre una vita normale. Non avendo una famiglia unita, mi è sempre mancata la materia prima cioè l’affetto, l’amore, il calore di una vera famiglia, anche se in parte ricevevo questo dai miei nonni. Tutto ciò ha portato a chiudermi in me stesso, un trauma che ha influito molto nel mio cammino. Di notte mi capita spesso di fare sogni dove intravvedo mia madre e mio padre che mi stanno vicino. Il viso di mio padre sembrerebbe avere una mia somiglianza e quando cerco intensamente di avvicinarmi per guardarlo mia madre si allontana e nello stesso momento scompare anche lui. Così mi sveglio ansioso e triste e mi chiedo come sarebbe stata la mia vita con due genitori uniti, un’emozione che purtroppo non ho mai avuto la possibilità di provare, mi sarebbe piaciuto molto, magari oggi non mi ritrovavo in questa situazione, essendomi affidato alla strada, a quelli che credevo amici, ma mi rendo conto ora che hanno solo sfruttato le mie disgrazie e debolezze, illudendomi per l’ennesima volta di aver trovato il bene che poi bene non è stato.
Gabriele Maglione
Bianca assassina
Si chiama cocaina, e non altro che una rovina: appena la provi non sei più lo stesso di prima. La bianca assassina, letale come un parassita entra nella tua vita e non si stacca più come una calamita sembra riempire il vuoto che hai ma è solo un’illusione sembra risolvere ogni problema ma non è lei la soluzione sembra farti divertire in realtà è una finta emozione che s’impossessa del tuo cuore e non ti fa più credere alle persone. Una vita in paranoia, con il sonno che non ti piglia e non trovi più una gioia. Ti dimentichi della famiglia, una vita notturna nella giungla senza battere ciglia, col fiato sospeso mentre fai fuori un’altra bottiglia e nel mentre pensi, nel mentre stai perdendo i sensi. Guardi gli altri felici e pensi che siano diversi quando in realtà è la tua vita che è piena di eccessi. La cocaina è un diavolo che fa brutti scherzi è bianca ma rende la tua vita nera, senza colori. Un tragitto pieno di cactus e spine dove non ci sono fiori. Una strega incantatrice che non ti porta altro che dolori. Non è una questione di soldi: o lasci stare o muori. E' una storia fatta di sogni infranti sulle panchine, di mille cadute e di mille sfide. La nostra storia è un film che capisce solo chi lo vive dove il drammatico inizio è l’inchiostro per scrivere il lieto fine.
Farouk Ennajeh
La mia prima carcerazione
La mia prima volta che mi hanno carcerato fu a Rimini, ma mi portarono subito a Bologna visto che a Rimini non c’era il carcere minorile. Avevo fatto la direttissima e mi ricordo che il giudice mi disse se volevo andare in comunità e io gli risposi di no quindi andai in carcere. Fu una batosta per me perché non pensavo di entrare in carcere visto che era la prima volta che commettevo un reato. In carcere facevo tanti corsi perché erano obbligatori, visto che in cella potevamo stare solo per dormire, tra l’altro si mangiava in mensa. Eravamo tutto il tempo occupati ma è quando ci chiudevano che accadevano le brutte cose: chi si tagliava o chi bruciava e distruggeva le celle e tutto questo per fortuna l’ho vissuto solo per 6 mesi. Nel 2006 c’è stato l’indulto e in quel carcere eravamo rimasti circa 5 persone non definitivi, più tardi ho saputo che i miei non volevano che usufruivo dell’indulto e quindi mi mandarono in una comunità rieducativa a Pavia in messa alla prova per farmi estinguere il reato e nel 2009 finii tutto ma per sfortuna quello era solo l’inizio perché ci sono state altre carcerazione e spero che questa sarà davvero l’ultima volta.
Cosimo La Catena
mercoledì 15 ottobre 2025
Un Coro di emozioni
Venerdì 3 ottobre 2025. Un giorno diverso dagli altri per chi, tra noi persone detenute nel carcere di San Vittore, ha avut0 la possibilità di partecipare con il nostro coro all’evento esterno organizzato a Milano presso la comunità dell’a Associazione L’ Abilità. La comunità ospita bambini con disabilità anche molto gravi. Il coro, invece, è una delle attività del nostro percorso di cura dalla dipendenza, che frequentiamo a cadenza settimanale all’interno del reparto La Nave di San Vittore. Questa volta abbiamo potuto portare la nostra voce al di fuori delle mura del carcere e far vedere che dentro di noi non ci sono solo gli errori che abbiamo commesso.
“Siamo esseri umani”, dice il ritornello di una delle canzoni che abbiamo cantato.
Non era la prima volta che il nostro coro faceva un concerto fuori. Pensavamo che anche questa occasione sarebbe stata come le altre: qualche ora fuori, potendo anche incontrare i nostri parenti e cantando le nostre canzoni Con il coro della Nave, era già successo. Ma questa volta è stato completamente diverso da quello che ci eravamo immaginati. Certo, l’incontro con i parenti è stato un momento moto forte, e per alcuni di noi era la prima volta che accadeva fuori dal carcere. Ma fortissimo è stato l’impatto con i bambini e le loro famiglie per i quali abbiamo cantato. Ci siamo esibiti all’interno della chiesa del Preziosissimo Cuore. Noi cantavamo e i bimbi della comunità cantavano insieme a noi. Con le loro patologie, a volte gravissime, cantavano, ballavano e ridevano. Un’emozione davvero molto intensa. Un impatto con la realtà della vita che non possiamo vivere tutti i giorni. Bisognava combattere con tante emozioni contrastanti che si animavano dentro noi, e per molti le lacrime erano difficili da trattenere.
Mettersi in gioco, guardarsi e confrontarsi con le vite degli altri spesso ci aiuta a capire che non siamo i soli a soffrire in questo mondo e che possiamo essere uno specchio per gli altri, così come gli altri possono esserlo per noi. Realtà come il reparto La Nave, gestito qui a San Vittore dalla Asst Santi Paolo e Carlo, dovrebbero essere presenti in tutte le carceri italiane. Per aiutarti a ripartire, rialzandoti dopo la caduta e anche per regalarti momenti come questi, indimenticabili. Anche così, ci si rialza. Per questo, grazie alla associazione L’Abilità. Per averci invitato e donato questa giornata che lascerà il segno. E grazie a tutti gli organi competenti che ci hanno concesso di accogliere tutto ciò che quest’occasione ha rappresentato.
I Coristi della Nave
lunedì 13 ottobre 2025
La droga in carcere? Il segreto di Pulcinella.
Ogni settimana, nello storico penitenziario di piazza Filangieri, vengono eseguiti una conquantina di esani del capello, su 1100 detenuti.
“E’ il segreto di Pulcinella”
Così Pietro Farneti, responsabile dello SMI, il Servizio per le dipendenze che collabora stabilmente con la casa circondariale, definisce quello che tutti sanno ma nessuno scrive: la droga gira anche dentro.
“E’ rarissimo che una morte in carcere sia ricondotta alle sostanze, ma che le sostanze circolino è un dato di fatto. Così come è un fatto che i ragazzi riescano ad accumulare farmaci per poi assumerli insieme o rivenderli all’interno”. Ogni settimana, nello storico penitenziario di San Vittore, vengono eseguiti una cinquantina di esami del capello su 1100 detenuti.
“Basterebbe farli a tappeto, non solo su chi si autodenuncia tossicodipendente e che quindi viene seguito dal Servizio per le dipendenze interno (SERD), per avere nero su bianco che dentro, questo problema esiste davvero, spiega Farneti. Ma forse è più comodo tollerare. E comunque senza consenso non si può fare nulla: né test, né controlli”.
Così i numeri restano parziali e la realtà scivola via come acqua tra le dita.
“Le due persone decedute, precisa Farneti, non erano affidate al SERD né inserite nella “Nave”, la sezione terapeutica della casa circondariale. Uno, il cittadino peruviano, era al Quinto Raggio ed è spirato in ospedale per un’emorragia gastrica le cui cause sono ancora da chiarire; l’altro, di nazionalità marocchina, al Terzo Raggio, è morto in cella per presunta assunzione di oppiacei e aveva un passato da tossicodipendente. Il carcere è rimasto blindato per ore, solo psichiatri e medici, sono potuti entrare e lo stesso personale era sotto choc”.
San Vittore è una città nella città: celle affollate, una fitta rete di operatori, educatori, volontari, avvocati, addetti alle pulizie e alla manutenzione, medici e parenti. Ogni giono centinaia di ingressi e uscite.
“Un’osmosi vivace, come deve essere, dice Farneti, ma assicurare controlli e perquisizioni efficaci diventa complicatissimo, se non impossibile”.
Dalla soglia di piazza Filangieri passa anche ciò che non dovrebbe passare.
“Davvero niente può essere cambiato?” dice Farneti. “In Lombardia dal 2020, c’è una legge di riforma del sistema delle dipendenze, ci sono piani per sviluppare progettualità, ma in cinque anni quella legge non è mai stata applicata”. Fuori dal carcere, le droghe cambiano faccia ogni settimana.
“Per capire davvero cosa si muove, spiega Farneti, i SERD dovrebbero tornare per strada, nelle piazze di spaccio, insieme ai tossicologi. La popolazione che seguiamo oggi è ormai cronicizzata e non basta come campione. E’ un’industria, e i prodotti cambiano di continuo”.
Dietro le sbarre si muore in silenzio. E la morte, quando arriva tra le celle, non è mai solo una tragedia: è la prova che qualcosa, nel sistema continua a non voler essere visto.
Elisabetta Andreis, Corriere.it
Carceri, parla Luigi Pagano
Luigi Pagano è stato nominato garante delle carceri del Comune di Milano, dopo essere stato direttore di San Vittore dal 1989 al 2004, oltre che provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Pagano, in carcere a San Vittore i detenuti muoiono, per droga o perché si suicidano.
Fortunatamente sono rari i casi di overdose, ma si tratta di segnali di una situazione arrivata al limite. E’ un carcere antico, non adeguato alle esigenze moderne. E’ stato costruito nel 1879, e dal punto di vista strutturale potrebbe anche essere considerato buono, ma è completamente inadeguato per come si intende la pena oggi, secondo la Costituzione e l’ordinamento penitenziario
Cioè?
E’ una struttura fatta di spazi chiusi, mentre ci vorrebbero quelli aperti, per fare uscire le persone dalle celle per partecipare all’attività “trattamentale”, lavoro, studio, creatività, come si fa nel carcere di Bollate. Ma questo oggi è impossibile nella situazione di sovraffollamento completo di San Vittore, con oltre 1100 detenuti, fra i quali la stragrande maggioranza è fatta di persone in attesa di giudizio, arrestati per reati minori, solo perché in strada non li si vuole vedere.
Comunque a San Vittore, anche se non ci sono orti e laboratori, ci sono tante attività di volontariato, come il reparto La Nave, dove si aiutano proprio i detenuti con problemi di dipendenze.
Certo, si fanno cose molto belle e utili anche a San Vittore, alla Nave in particolare. Ma gli spazi non bastano, i Decreti sicurezza hanno riempito le celle: hanno trasferito in carcere un problema di ordine pubblico. Ma così, il sistema carcere non regge, si crea un imbuto, nel quale è impossibile riuscire a star dietro a tutto e lavorare con i detenuti per permettere loro di ripensarsi in un domani diverso. Bisogna pensare alla dignità di chi vive recluso e anche di chi lavora in queste strutture. Pure il personale dellla polizia penitenziaria è in grande stress e ci sono suicidi anche fra gli agenti.
Ma la droga in carcere non dovrebbe esserci: come entra?
Purtroppo ci sono diverse strade. Il carcere non è un sistema chiuso, vive di comunità, ci sono i colloqui, passano tantissime persone, addetti ed operatori di ogni tipo, ogni giorno. E’ cpme un grande sistema di vaso comunicanti e qualcosa per forza sfugge. Controllare tutto è impossibile: Rendere le carceri completamente impermeabili non è fattibile, anche facendo perquisizioni molto accurate.
A parte la droga, in posti come San Vittore la disperazione è altissima. Ci sono i suicidi, i volontari raccontano di ondate continue di nuovi arrivi, ragazzi giovanissimi, stranieri, abituati alla violenza, con i quali nel contesto carcerario è difficle intraprendere qualsiai tipo di discorso, per non parlare del rapporto con la polizia penitenziaria che è spesso di scontro, provocatorio.
Sì, infatti, in queste condizioni , la logica oramai è quella di tenerli chiusi nelle celle, e non dipende da scelte che si prendono a San Vittore. Il mio è un discorso di carattere generale.
Creare condizioni di sovraffollamento sopra ogni limite comporta la compressione degli spazi, della possibilità di occuparsi di chi è più fragile. Una situazione di invivibilità che aumenta le tensioni, il numero di incidenti, le occasioni di prevaricazione. Così basta una scintilla per far scoppiare tutto, per far saltare equilibri ed emozioni.
C’è anche un problema di organico?
Mancano non solo gli agenti ma anche i medici, gli educatori e gli specialisti. Chi vive dentro a San Vittore inevitabilmente finisce per sentirsi totalmente abbandonato, senza alcuna possibilità di sana socializzazione o di attività all’esterno della cella. Le case circondariali come San Vittore, Poggioreale e Regina Coeli sono le più affollate e quelle dove si riesce a fare meno per i benessere minimo vitale dei detenuti, che peraltro sono “presunti colpevoli”, doppiamente penalizzati, perché stanno nei penitenziari peggiori e più affollati pure non essendo ancora stati giudicati colpevoli in via deifinitiva.
Come si potrebbe rimediare a questi problemi così complessi?
Intanto, avendo il coraggio di pensare a provvedimenti come l’indulto e l’amnistia per i reati minori: ci vuole una misura deflattiva che riduca i numeri. E poi bisogna ripensare i Decreti che, per togliere dalla strada delle persone che danno fastidio, puntano sulla politica penale invece che su quella sociale.
Intervista di Zita Dazzi, La Repubblica
sabato 27 settembre 2025
Le Ali della Vita
Mi chiamo Alessandro, ho deciso di scrivere un pensiero, il quale forse, anzi, certamente, non avrei mai immaginato di scrivere. Ideato comunque con affetto e da condividere con i miei ormai fratelli “marinai”, perche pur essendo un eufemismo ci troviamo sulla stessa barca, perdonatemi più consono il termine “sulla stessa nave”. Questo breve racconto intitolato “le ali della vita” è stato scritto per le mie bambine,le mie 2 ali, in questo momento 2 ali non al massimo della loro forma e “ampiezza” in grado di sorreggersi da sole a causa della mancanza di un loro forte punto di riferimento “il papà”, ma con la presenza di una madre fantastica in grado di colmare questo “gap” nella maniera migliore, anche se in assenza del loro imprescindibile mezzo per proseguire il volo, “il papà” appunto , ed essere completamente libere di volare nella loro incredibile maestosità. Non so se questa metafora sia funzionata, capita o percepita, ma il significato di tutto ciò è che senza le mie ali, si è interrotto provvisoriamente qualcosa di magico, una sintonia perfetta, una famiglia unita, con la speranza che questo fantastico “volo” riprenda al più presto, liberi di volare, ritrovando quella normalità di vita al momento perduta solo per colpa di papà, ma sono certo che ci ritroveremo al più presto, io e la mia famiglia “sul divano a parlar del più e del meno... a crescere bambini. In tutto ciò rimanere “seduto in disparte” fa molto male, ma come ha scritto Pappalardo la parola d’ordine è una sola “ricominciamo” e ricominceremo più forti che mai. Lo devo a me stesso, ma soprattutto a loro come marito e genitore. Nel frattempo giocate spensierate, sorridete,proseguite con impegno il vostro programma scolastico per poi la sera fare la nanna con la vostra amata mamma , che un giorno, un bel giorno papà tornerà presto, per proseguire questo viaggio fantastico chiamato “vita”. Il papà ha fatto degli errori che attualmente sta pagando, ma con tutto l’impegno, la forza, la riflessione e ascoltando parole e consigli di persone competenti proverà con tutte le sue forze a non cadere più in errore.
Dedicato alle mie ali, Isabel e Penelope i miei piccoli cuoricini, il vostro papà vi ama e farà in modo che più niente e nessuno potrà mai più dividerci.
Il vostro papone.
Alessandro Demolli
Rancore nei miei confronti
Il rancore,che per definizione è un risentimento profondo covato a lungo e tenuto nascosto, lo serbo per me stesso. I sinonimi di rancore sono astio,malevolenza e addirittura odio.Fino a qualche mese fa, nonostante qualche lieve senso di colpa,gli errori che commettevo non mi sfiorava più di tanto. Ero sì consapevole che lo stile di vita che negli ultimi anni stavo conducendo non era dignitoso ma me ne sono sempre fregato e il rancore l’ho sempre serbato nei confronti dei miei genitori oppure nel confronto degli altri.Ma dall’8 Marzo del 2025 commisi un errore che non mi perdonerò mai nei confronti di una persona che pur avendomi portato al limite sbagliando gravemente con me non meritava comunque l’entità della mia reazione, nonostante avesse sbagliato e mi avesse ferito.Da quel momento cominciai a farmi profondi esami di coscienza , tormentandomi per l’accaduto e ad esaminare a fondo ogni mio difetto e le reazioni che avevo quando le cose non andavano bene o qualcuno non si comportava come avrei voluto o mi sarei aspettato.Da quel momento di qualche mese fa serbo rancore soltanto per me stesso.Tutt’ora che sono in carcere penso a come mi sono comportato nei confronti di quella persona, nei confronti della mia famiglia, conoscenti, amici ed anche a come ho trascurato me stesso. Sin dal primo giorno di detenzione non facevo altro che pensare a quella persona in ogni singolo momento della giornata provando davvero un grande risentimento, ovvero rancore, verso me stesso.Tutt’ora mi colpevolizzo ed analizzo come mai un ragazzo che fino a qualche anno fa conduceva una vita regolare, che si prendeva cura di se stesso, lavorava e non sfociava in determinati atteggiamenti, sia arrivato a comportarsi in tal modo.Se prima provavo sempre a giustificare gli atteggiamenti sbagliati o lo stile di vita fatto da eccessi sia a me stesso che agli altri, adesso ho acquisito la consapevolezza che non importa come le persone si comportino con me perché io posso e devo fare meglio, avere più pazienza, placarmi, ragionare di più e agire nella maniera più pacata e migliore possibile.Il percorso su me stesso partirà proprio dal rancore che provo su me stesso che, anche se mi logora, sono convinto che mi porterà a capire il modo migliore come reagire alle difficoltà della vita e in che modo affrontare i comportamenti che io ritengo ingiusti nei miei confronti.Il rancore, dunque, mi sta facendo del male ma è da lui che ripartirà la mia rinascita per trovare un equilibrio sia nella mia vita che nei rapporti con la società.
Eduard Spanache
venerdì 29 agosto 2025
Il Giudizio
La scorsa settimana è avvenuto un fatto che ricorderò per tutta la vita. Ho ricevuto un atto giudiziario che mi ha fatto crollare il mondo addosso. Non lo nascondo, ho meditato di compiere anche un gesto estremo, ma se sono qui, non è questo il risultato che voglio ottenere. Voglio essere una persona nuova, lo faccio per me e lo voglio fare anche perché lo scopo che inseguo è mostrare alla mia famiglia, ai miei figli e alla società solo il mio lato migliore, quello riabilitato, quello sicuro di se stesso. In questi ultimi giorni non riesco più a distinguere quello che è giusto da quello che è sbagliato, quello che è legittimo da quello che non lo è, voglio chiedere scusa al mio compagno Francesco per averlo assalito a parolacce senza motivo, non pensavo realmente a quello che dicevo. Ho avuto bisogno di sfogarmi e l’ho fatto nella maniera sbagliata. Mi sono reso conto che fuori ci sono persone che se ne fregano se stai male, se ne fregano se stai faticando per essere un uomo diverso, a loro importa nulla o quasi. Il brutto è che ne esistono altrettante che, pur sapendo la realtà che vivi qui dentro, usano questo momento per abbatterti totalmente, ferirti con fredda consapevolezza e magari istigarti a compiere quello che farebbe risparmiare un po’ tempo e denaro. Non ce la faccio davvero a credere che si possa approfittare in questo modo, magari dall’altra parte c’è qualcuno che si muove proprio adesso perché è più facile accanirsi su chi non ha la possibilità di reagire o magari è solo tanta, tanta ignoranza. Non me ne vogliano i compagni marinai, ma io sono contento che qualcuno sia riuscito a fermarmi, non avevo la possibilità di accedere a quelle cliniche svizzere da cinque zeri, che mi avrebbero chiuso per due mesi e ripulito da tutto quello che esiste di proibito. Il carcere, anche se duro, è stata la cura giusta, o forse l’unica, per risollevarmi. Adesso sta per essere usata come elemento di pregiudizio che sarà portato davanti a un giudice, dovrò essere di nuovo giudicato, stavolta per volontà di altri. Non auguro a nessuno questa prova, per un genitore è straziante anche se non ci sono lutti, non si riesce a pensare ad altro, ti fai tornare in mente prima i momenti belli e poi i momenti brutti, gli errori, le sofferenze causate e subite, ma una cosa come questa non mi permette di credere che qualcosa di buono sia stato fatto. Adesso riesco solo a chiedermi se sono realmente un padre indegno o sono gli altri che mi vedono così, e se così fosse, se fossi realmente indegno, allora quale sarà la giusta pena, quale futuro immaginarsi con questo pensiero fisso?
S. Catania
L'indifferenza
L’indifferenza per me è qualcosa di cui, ad oggi, il mondo non riesce a stare senza e ne nutre l’inesistenza. L’indifferenza la vediamo al TG, nelle cronache quotidiane dei giornali, ma a nessuno interessa se non a poche persone che però non fanno un numero sufficiente per cambiare le cose. Non è possibile che i bambini muoiano alla vigila di natale, non è possibile che nessuno riesca a notare che il menefreghismo ci porta ad un estremismo. Israele che attacca per difendersi dal terrorismo, l’Italia che crea più tensione, l’Europa che non vuole la pace, ma appunto l’indifferenza. Io l’ho vissuta poco, ma quel poco mi è bastato. Sono cresciuto in questo paese, ho studiato tutte le epoche storiche da Cristoforo Colombo al nazifascismo e se non ci fosse stata l’indifferenza non saremmo nelle scuole a studiarle. Anche i giorni di oggi devono rimanere nei libri futuri. L’indifferenza sta facendo morire di fame e di sete diversi continenti, diversi Paesi. A me personalmente fa male al cuore tutto questo, ma noi, oggi, possiamo fare la differenza. Come fai ad essere al ristorante e buttare il cibo che hai ordinato, pagare ed uscire a stomaco quasi vuoto, mentre fuori c’è un clochard che muore di fame o di freddo? Ad ognuno passa qualcosa per la testa perché è umano voler aiutare il prossimo. L' indifferenza non deve esistere.
Khaled Mohammed
Fra dieci anni
Prima di tutto, spero che fra dieci anni la salute sia come oggi, anche se da un po’ di tempo vedo un tantino male da vicino. Tra dieci anni ne avrò 57, sempre con lo spirito che mi porto da bambino, quindi sarà un lungo percorso pieno di fiducia e cura per me stesso. Finita questa bella esperienza alla Nave, che porterò sempre nel cuore, ringraziando tutti. Da libero continuerò a vivere nella casetta che mi hanno lasciato i miei genitori e ritornerò a lavorare al mercato, a vendere frutta e verdura con la stessa passione che avevo da ragazzino. Cercherò di risparmiare qualche soldo per comprarmi una macchina. Il mio sogno è una Mini Cooper, per girare in città sarebbe comoda anche una Smart e la versione cabrio sarebbe perfetta. Solo due posti ma sono deciso a prenderla. Condurre una vita raggiungendo i miei obiettivi con impegno senza mai abbassare la guardia, spero tanto di conoscere una compagna per dedicarci all’amore e al rispetto reciproco, viaggiare, ma soprattutto la voglio che non faccia uso di nessuna sostanza, perché io sono deciso a riprendere la mia vita in mano, e a soddisfare quel forte desiderio di diventare papà perchè mi manca questa stupenda emozione. Voglio provarla prendendomi cura di lui o lei e crescere insieme senza mai fargli mancare nulla. Insomma, come mi vedo tra 10 anni: non più da solo con la smart, ma con una macchina spaziosa con la mia famiglia, uniti perché non ci sarà più tempo per sbagliare, senza mai dimenticare che anche mio fratello ha bisogno di me.
Stefano Tolomeo
Sono Gabriele
Buongiorno a tutti, sono Gabriele. Sono un ragazzo molto timido, chiuso, purtroppo quando ero bambino non avevo una famiglia unita e mi sono ritrovato a crescere senza un padre, di cui non conosco nulla. Frequentavo le scuole elementari quando ebbi i primi problemi con mia madre, all’uscita della scuola mi ritrovavo sempre mia zia perché mia madre era presa da un uomo ed entrambi erano tossicodipendenti, così mi trascurava al punto di abbandonarmi dai nonni. Vi lascio immaginare come si sente un bimbo in quelle condizioni. Per tutti i cinque anni di elementari ho sofferto sempre di più, vedevo i miei compagni all’entrata e uscita da scuola con la loro mamma e i loro papà ed io mi rattristavo e il pensiero era fisso: “come vorrei un abbraccio e un bacio appena fuori da scuola come tutti gli altri bimbi”. Non è sbagliato, non credete? Finite le scuole mio nonno mi iscrisse in una squadra di calcio chiamata Fides, mi piaceva molto giocare a calcio, mi impegnavo molto e a mio nonno piaceva venirmi a vedere, ma purtroppo con la vita che avevo intrapreso con le sostanze mollai tutto. Con i miei ex compagni di scuola ci ritrovavamo al parchetto a fumare le canne, che alleviavano le mie sofferenze ma allo stesso tempo non mi rendevo conto che davo dispiaceri a mio nonno. Così iniziai a entrare in un giro che mai pensavo mi avrebbe portato alla galera.
Gabriele Maglione
Il Rancore
Provo un grande rancore nei miei confronti, per tutti gli sbagli che ho fatto nella mia vita. Nonostante tutti i consigli ricevuti dalle persone che mi vogliono bene, sono arrabbiato con me stesso, per tutti i torti che ho fatto. I soldi che ho fatto spendere per cercare di curarmi, non è bastato neanche il periodo forzato in Senegal per rimettermi sulla via giusta. Al mio ritorno in Italia ho continuato a perseverare nella condotta sbagliata, ignorando nuovamente i consigli dei miei cari. Provo vergogna per alcune situazioni che ho creato e che rimarranno sempre impresse nella mia mente. Ricordo quando mia madre mi beccò mentre fumavo, si è buttata letteralmente a terra piangendo, sembrava avesse una crisi epilettica. I miei genitori avevano già previsto che se avessi continuato così, sarei finito in carcere. Previsione ovviamente da me ignorata. Adesso che sono qui, riesco a riflettere lucidamente su tutto ciò che ho fatto, mi rendo conto che sono fortunato ad avere la possibilità, qui a La Nave, di intraprendere un percorso di cura che mi aiuterà a condurre una vita sana e non deludere più le aspettative dei miei genitori e magari potrò finalmente perdonarmi e non provare più rancore nei miei confronti.
Khadim Diop
domenica 3 agosto 2025
Il lavoro dopo il carcere
Una buona notizia: un nostro amico, ex ospite della Nave, ha trovato lavoro. Un momento di grande felicità per un evento che, tra l'altro, è garantito dall'articolo 4 della Costituzione. Un diritto come il voto, la casa o la libera espressione del pensiero. Ritengo il lavoro vitale per l’indipendenza economica, la dignità umana, il reintegro nella società, per sentirsi parte di qualcosa che valorizzi la propria giornata. Il lavoro assume un’importanza fondamentale per tutti, a maggior ragione per i nostri ragazzi che possono sperare in un futuro diverso quando trovano un'occupazione. Si tratta anche di condivisione nei discorsi tra amici e parenti… “Che lavoro fai?”, “hai trovato lavoro?”, “lo fai con passione?”. Ovviamente, occorre che la retribuzione sia proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro svolto, che non ci sia sfruttamento dell’individuo, in alcun modo. Solo con queste premesse potremo costruire un futuro sereno per i nostri ragazzi, per essere veramente liberi, per creare una società migliore. Chi trova lavoro è felice, così come è depresso chi lo perde, poiché perde un diritto. Non attribuisco importanza al tipo di occupazione, purché venga svolta al massimo delle proprie capacità. Il lavoro è un diritto che va custodito, rispettato e amato.
Forza, ragazzi! Il futuro vi aspetta a braccia aperte! Ricordatevi, la vostra dignità è la base per la vostra felicità! Coraggio, il mondo vi aspetta!
Fabrizio Montinari
venerdì 25 luglio 2025
Ciao, Irene!
Quando ho iniziato questo percorso di tirocinio, la fine mi sembrava lontana. E invece, eccoci qui: oggi è il mio ultimo giorno con tutti voi.
Quando si comincia un tirocinio, si pensa sempre che saremo noi, i tirocinanti, a portare qualcosa: nuove idee, entusiasmo, uno sguardo fresco, divergente. Ma ancora una volta ho avuto la conferma che non è così: il tirocinio è più di tutto un tempo in cui si riceve. Un tempo in cui si impara dalle storie degli altri.
La verità è che siete stati voi, i marinai, a insegnarmi tutto, con i vostri volti, le vostre storie e persino con i vostri silenzi.
Alla Nave ho imparato tanto e per questo non so davvero come ringraziarvi.
Con voi ho imparato a stare. A non fuggire di fronte alla fatica, al dolore, al dubbio.
Ho scoperto che dietro ogni parola c’è un mondo, e che spesso quello che viene detto non è tutto ciò che si vorrebbe esprimere.
Ho imparato che certi silenzi valgono più di mille parole e a non abbattermi quando qualcosa sembra difficile: è proprio quello il momento in cui rialzarsi.
Ho compreso l’importanza di prendersi il proprio tempo per capire, per accogliere, per riflettere, per ascoltare senza giudicare.
Ho visto come, anche nei luoghi più bui, segnati dalla sofferenza, si può coltivare qualcosa di buono.
Ho imparato che la fragilità non è debolezza, ma una verità che, se accettata, può diventare un punto di forza.
Ho imparato che per ogni persona, qualsiasi storia abbia attraversato, c’è una possibilità di cambiamento, se davvero lo desidera, e che il cambiamento non fa rumore, ma agisce in modo silenzioso e costante.
Alla Nave ho respirato un modo diverso di pensare la cura: un approccio umano, vicino, mai distante. Ho visto professionisti che non si limitano a fare un mestiere, ma che lavorano ogni giorno con autenticità ed empatia. Un ringraziamento va proprio a voi, membri dell’équipe, che mi avete accompagnata lungo questo percorso. Grazie per avermi accolta con disponibilità e attenzione, per aver condiviso con me riflessioni, dubbi, strumenti. Mi avete offerto uno sguardo professionale che porterò con me nel mio cammino futuro.
Porterò con me ogni volto, ogni parola, ogni gesto, ogni momento di questo viaggio. E anche se oggi mi congedo da questo luogo, so che dentro di me qualcosa è cambiato per sempre.
Ringrazio tutti voi marinai, chi c’è ora e chi oggi sta proseguendo il proprio percorso altrove, per avermi accolto nella vostra Nave.
In particolare, voglio dire grazie a chi ha partecipato al gruppo “Genitori e figli”: è stato un privilegio poter ascoltare frammenti delle vostre storie e portarli con me, anche nel mio percorso di tesi. Senza di voi non avrei potuto realizzare il mio progetto. Mi avete insegnato più di quanto possiate immaginare.
Alcuni di voi ho avuto il piacere di conoscerli meglio, altri meno. Ma vorrei sottolineare quanto ciascuno di voi sia stato importante per me e per il mio percorso di crescita, personale e professionale. Partecipando alle attività ho ascoltato le vostre storie, i vostri racconti, anche quando non erano rivolti direttamente a me, e da ognuno di voi ho tratto qualcosa.
Oggi per me è tempo di andare. Lo dico con un nodo in gola, perché si, ogni fine è simbolo di un nuovo inizio, ma chiudere un capitolo della nostra vita fa sempre un po’ male.
Anche il cambiamento però è salutare e fa parte della crescita. Per questo come frase del giorno, da appassionata Disney, vorrei lasciarvi una citazione di Rafiki nel “Re Leone”: “I cambiamenti sono positivi… Il passato può far male ma, a mio modo di vedere, dal passato puoi scappare oppure imparare qualcosa.”
E io scelgo di imparare, portando un pezzo di ciascuno di voi per sempre con me.
Grazie davvero, per tutto!
Irene
Ciao, Lucia!
Scrivendo di questo anno, ho ripercorso ogni singola esperienza, e forse è inutile dire che mi sono commossa, mi sono commossa per un tempo che mi ha vista crescere, mi ha vista cambiare e a volte far fatica. Ancora ricordo il primo giorno, tra la paura di non essere capace e le domande su come sarei stata vista, ai dubbi e alle incertezze che riempivano la testa in quei giorni. Da subito però, quando sono entrata in reparto, ho sentito di essere accolta in quella che - nella sua strana forma - sembra essere una vera e propria famiglia, e di questo ve ne sarò sempre grata. La prima volta che sono entrata qui mi ha sorpreso, o meglio mi avete sorpresa, con la vostra energia travolgente e l’entusiasmo che ho sentito, e che vi auguro di non perdere mai.
Pian piano poi ho avuto modo di conoscervi e di conoscere ogni storia, ogni sfumatura, ogni vostro dettaglio. Mi avete fatto imparare che forza può avere raccontarsi, anche quando è l’ultima cosa di cui abbiamo voglia, anche quando ci sembra impossibile. Mi avete insegnato come mostrare una propria debolezza o una ferita ci renda più forti e ci faccia crescere sempre un po’ di più. Vi ringrazio di avermi permesso di conoscervi e di aver condiviso con me parti importanti delle vostre vite.
Mi avete fatta pensare, mettere in dubbio convinzioni di una vita e sicuramente fatta rimettere in gioco, ogni giorno. Mi avete fatta emozionare tante volte e insegnato che si può essere altro, che non è mai troppo tardi per cambiare. Mi avete fatta ridere e, forse la cosa più importante, mangiare molto.
E anche quando non ero qua, vi ho sentiti vicini.
Cercherò di catturare e di portare con me ogni momento, ogni sguardo, ogni racconto, ogni storia; certa che in queste mura rimarrà sempre custodita ogni cosa.
Vi ringrazio di aver condiviso con me un pezzo del vostro percorso e vi auguro di continuare a camminare, di avere la forza di andare avanti, anche quando tutto sembrerà in salita.
Grazie di cuore, Marinai!
Con affetto, Lucia
Ci mancheranno.
Di seguito, le lettere di saluto di Lucia e Irene, le nostre educatrici tirocinanti. A loro va il nostro abbraccio, il ringraziamento per il lavoro svolto e gli auguri per un brillante futuro!
martedì 17 giugno 2025
Solidarietà
Mi ritengo una persona molto disponibile e sincera nell’aiutare gli altri, facendolo col cuore. Ricordo sempre il 27 febbraio, il giorno della mia carcerazione, non avevo nulla a parte i vestiti che indossavo; mi son dovuto arrangiare un po’ come potevo, anche perché non facendo colloqui, non avevo nessuno che potesse portare i miei vestiti. Ho trovato solidarietà tra detenuti che mi hanno aiutato chi con una maglietta, chi con una tuta. Fortunatamente sono riuscito a imbarcarmi in questa avventura dove ho trovato una equipe molto generosa da cui ho ricevuto sostegno sia nell’abbigliamento, che nell’affrontare le mie difficoltà. Sono molto contento di aver preso questa decisione, mi sto impegnando in questo mio percorso continuando a tener chiaro quello che posso fare per migliorare la mia vita. Qui alla Nave ho scoperto un ambiente accogliente e di aiuto reciproco.
Un grazie a tutti
Stefano Tolomeo
Un' Amica Vera
Quello che vi racconterò non tratta di una persona qualsiasi, ma di mia sorella. Col passare del tempo non è diventata un semplice familiare, ma è diventata anche un’amica vera, l’unica che mi sia mai stata realmente accanto sia fuori, che dentro il carcere. Gli altri cosiddetti “amici” sono spariti, ma lei no, nonostante tutto quello che ha passato a causa mia, lei è rimasta vicino a me, lei è il mio fiore nel deserto, lei è la mia amica vera.
Oussidi Souhaib
Una Vita Normale
Ciao a tutti mi chiamo Ahmed e voglio condividere con tutti voi un piccolo pensiero: come vedo una vita normale. Da piccolo in Egitto insieme alla mia famiglia era sempre tutto meraviglioso; insieme e felici, per me è questo il concetto di vita normale ed è quello che voglio. Lo so, sembra che prenda tutto con leggerezza, ma è una maschera che uso per nascondere quello che in realtà c’è nel profondo del mio cuore: la tristezza e infelicità che ho causato a me stesso e alle persone che mi vogliono bene, come la mia famiglia. Prometto a me stesso di migliorare e curare la mia dipendenza, sono consapevole che sarà difficile e molto pesante, ma con tanto impegno arriverò al mio obiettivo e a una vita normale, con salite e discese, felicità e infelicità, tanti sacrifici, ma alla fine potrò dire: ce l’ ho fatta!
Ahmed Fouda
Essere solidali
Ai giorni nostri la solidarietà è molto rara in generale figurarsi all’interno di una galera!
Ora vige solo la regola del piu forte e basta, tutto ciò aggiungendo il fatto che non esiste piu meritocrazia ,
perchè oltre alla mancanza di solidarietà aggiungerei il fatto che è un mondo dove bisogna essere raccomandati, perchè chiunque tu sia o qualsiasi cosa abbia studiato, ci sarà sempre il raccomandato che prende il tuo posto senza averne i meriti.
Per quanto mi riguarda, la solidarietà nei confronti dei più deboli, dei meno ricchi, dei meno abili e cosi via……..
Io stesso mi ritengo una persona poco solidale ma bensì più realistico per e con l’ambiente che mi circonda e le persone che mi circondano e preferisco trattare gli altri come essi trattato me, cosa che so essere sbagliata ma purtroppo dentro queste 4 mura non si riesce quasi più ad essere solidali , ma grazie a Dio non è sempre cosi perche ci sono reparti come la Nave in cui ci sono molti marinai sempre solidali con il prossimo che meriterebbero il nome di capitani grazie ad essa e non semplici marinai. Un grande grazie va alla meravigliosa solidarietà delle nostre vere capitane cioè le nostre dottoresse sempre in grado di mostrare solidarietà verso il prossimo con molta intelligenza e molta calma. Pertanto chiudo ringraziando tutte queste persone e le dottoresse per aver fatto rendere il carcere un posto quasi vivibile .
Grazie a tutti per aver ascoltato le mie parole.
Accardo
La Solidarietà
Solidarietà è una bellissima parola, che a sentirla, dà un senso di bene e di giustizia, cose che purtroppo oggi sembrano appartenere ad una cerchia ristretta di persone, magari facenti parte di gruppi religiosi o moralisti, sicuramente distanti dallo stile di vita occidentale, che sembra essere incentrato sull’egoismo personale e sul consumismo. Siamo stati bravissimi ad adottare questa maniera di vivere, che si adatta perfettamente a ciò che cerchiamo, ciò a cui aspiriamo, tutti al servizio del dio denaro. Forse potrò sembrare un po’ estremo ad affermare questo, anche perché per fortuna, ci sono ancora persone che aiutano il prossimo, coloro che hanno bisogno a costo di andare contro al sistema sociale, insomma persone che creano una fiamma di speranza nel buio fitto dell’egoismo. Io credo che la solidarietà si riesca a cogliere in maniera più netta nei Paesi dove c’è molta povertà, ad esempio nel Terzo Mondo. Qui è facile trovare persone, che nonostante abbiano il denominatore comune della fame, si aiutano tra di loro per sopravvivere. Insomma dove c’è sofferenza il sistema solidale si attiva, soprattutto grazie alle persone che hanno sofferto o che vivono tuttora in condizioni di sofferenza. Credo altresì che ogni uomo abbia piantati dentro di sé, sia il seme dell’egoismo che quello della solidarietà, spetta solo a noi scegliere quale coltivare.
Daniele Romeo
Titolo….. la mia consapevolezza
Buongiorno a tutti, voglio condividere con voi questo mio pensiero.
Da quando sono salito qui alla Nave, ho riflettuto molto sul mio essere
sotto effetto di sostanza.
Continuo a chiedermi il perché, quando la vita è talmente bella e preziosa
da vivere ogni momento, non mi manca nulla per ottenere quel mio desiderio.
Con tanto sacrificio, coraggio e determinazione.
Non posso più sbagliare, tutta questa sofferenza mi ha fatto capire che
il vero Stefano può tornare una volta per tutte, eliminando i brutti ricordi.
Per il mio bene, ma anche e soprattutto per l’invalidità di mio fratello
e la perdita dei nostri genitori, che hanno lasciato un vuoto incolmabile in noi, quando io ero solo un ragazzo spensierato e felice. Cara mamma e caro papà, oggi grazie al mio percorso e alla disponibilità di tutte le dottoresse, mi sento più consapevole e deciso nelle mie scelte.
Per questo motivo la mia strada non sarà più la stessa, ma una nuova vita e un sogno che deve diventare realtà. Ringrazio tutti per avermi ascoltato.
Stefano Tolomeo
La mia coscienza, la mia motivazione e il mio sentimento
La droga nella mia vita mi ha, per la maggior parte delle volte portato a: negatività, delusioni e tristezza, tutte queste cose brutte che oggi, con lucidità, mi rendo conto di quanto oscuravano la mia vita. Non sono guarito e non so nemmeno se guarirò, però tutto ciò rafforza i miei pensieri in prospettiva. Mi guardo intorno e mi dico che non voglio più soffrire, non voglio più essere triste, non voglio più delusioni che dovute alla sostanza, non voglio più deludere, non voglio più vivere al buio. So che è dura e so anche che avrò bisogno sempre di aiuto, quello che non ho mai voluto da nessuno e che ora invece voglio. Voglio un cammino luminoso, una vita serena circondato da amore e da tutto quello che mi fa star bene e poter sfoderare tutta la mia positività, perché in fondo non sono cattivo, non sono come mi descrivono. Non sono solo un fascicolo, sono un uomo con tanta voglia di vivere, e per questo mi sento motivato a dare una svolta alla mia vita, per essere un padre e un figlio migliore. Le soddisfazioni crescono pian pano dentro di me, i miei compagni di cella mi fanno notare il mio cambiamento e lo fanno anche le dottoresse. Soprattutto la dottoressa Corti, quando si espresse con positività nei miei confronti, mi ha dato modo di continuare a crederci cambiando le mie giornate in positivo, per questo le ringrazio tanto per avermi dato la possibilità di affrontare questo percorso e ce la metterò tutta. Le soddisfazioni mi rendono vivo, mi danno la forza di andare avanti, riguardo e immagino il mio passato e rileggendo il mio fascicolo, penso che sia arrivata l’ora di accettare l’aiuto che mi stanno dando e me lo terrò stretto finché potrò grazie
Maurizio Iavarone
Consapevolezza
Qui dove sto adesso, si parla spesso di consapevolezza. Credo che sia un processo elaborato e un traguardo difficile da raggiungere. Qualche giorno fa, ci fu la visita del dr.Gherardo Colombo che ci mise davanti ad un dilemma: dove e come ci vediamo fra dieci anni? Beh, questo ha fatto scaturire una profonda riflessione in me, a tal punto che prima di proiettarmi nei prossimi anni, ho ragionato su quelli che sono stati gli ultimi dieci anni. Penso spesso a dieci anni fa, dove immaginavo di raggiungere l’età attuale con la mia totale realizzazione, sia in ambito familiare, sia in ambito lavorativo, anche perché non percepivo, o non volevo credere all’influsso negativo delle sostanze. Attualmente mi rendo conto che dopo dieci anni ho realizzato solo la metà di quello che avevo programmato e questo è da attribuire soprattutto all’uso di sostanze. Le sostanze hanno “impegnato” metà di questi dieci anni. Solo oggi facendo introspezione e ritrovandomi di nuovo in questa situazione, attraverso la vera sofferenza, il rimorso di non potere essere un padre presente nei momenti di difficoltà della mia famiglia, ho preso consapevolezza del mio problema, delle mie fragilità e dei punti da cui ripartire e superare, anche con fatica e sacrificio, determinazione e motivazione, i problemi che si sono verificati a causa dei miei abusi, problemi che nascondevo dietro l’uso della sostanza ma che riemergevano sempre. La cosa che mi fa più male è che ho sempre giudicato mio padre, ritenendolo poco presente e alla fine mi sono reso conto che anch’io, con le mie fragilità, somiglio molto a lui. Questa è la consapevolezza che mi spinge ad affrontare la mia patologia con la cura, per potermi dedicare a quello che finora ha solo ricevuto la metà di quello che potevo dare alla mia famiglia. Dopo un ottimo percorso comunitario durato due anni, ne sono uscito rigenerato. Avevo affrontato tutte le mie debolezze e paure, ero riuscito a recuperare quello che avevo sempre desiderato, cioè la serenità e la stabilità della mia famiglia, ma è stata sufficiente una notizia che non mi aspettavo per ricadere e trovarmi di nuovo a combattere contro la sostanza che si prendeva tutte le energie, ma in cambio offriva una tranquillità momentanea, metteva a tacere tutte le mie preoccupazioni mentali. Oggi sono consapevole e determinato a mettere fine all’uso di sostanze. La mia motivazione e il mio motore che mi spinge a continuare su questa strada è alimentato da mia moglie e il mio bambino, che oggi più che mai ha bisogno del suo papà che lo segue e gli sta accanto in qualsiasi momento. La benzina per alimentare questo motore è la mia stessa motivazione e consapevolezza. Quindi, da oggi e nei prossimi dieci anni lavorerò sul mio progetto partendo dalla cura di me stesso e portando a frutto quello su cui sto lavorando, riuscendo a dedicarmi completamente alla mia famiglia, al mio reinserimento sociale con la consapevolezza di dover avere a che fare con i pregiudizi e affrontando le avversità di persona senza pensare di risolvere con le sostanze, perché voglio essere una persona normale e libera. Questo lo devo soprattutto a me e al mio bambino. Adesso è arrivato il momento di una rigenerazione totale e finale. Questa, oggi, è la mia consapevolezza.
Luigi Cigliano
Il Rancore
La parola rancore può essere usata in molte maniere, e in diverse occasioni.
Per quanto riguarda me, il rancore è come un fantasma che da sempre resta al mio fianco ,
sin da quando ho iniziato a capire, o per meglio dire, provare rancore
RANCORE, per non essermi potuto godere mia nonna paterna per l’incapacità
di alcuni dottori che le hanno accorciato la vita. Nonna Giacoma sei nel mio cuore per sempre!
RANCORE, per non aver goduto di una famiglia completa e normale, avendo un padre esuberante, al punto di aver perso il controllo della propria famiglia, anche se non gli attribuisco colpe perchè lui a sua volta aveva perso la madre .
RANCORE, per non essere stato abbastanza uomo, per mia madre a cui era crollato il mondo addosso….ma per la mia giovane età ed il mio dolore interno, non mi rendevo conto di quanto lei soffriva a sua volta per tutte quelle perdite. Mamma sei il mio piu grande amore!.
RANCORE, perchè una volta, abbastanza adulto da capire, non le sono stato affianco nel giusto modo, per il fantasma che mi perseguitava e tutto il dolore provato a mia volta.
RANCORE, perchè al posto di combattere il dolore ed il fantasma, li ho tacitati con un abuso sconsiderato e spudorato di qualsiasi sostanza stupefacente, di cui solo ora capisco l’inutilità .
RANCORE, per aver creato una famiglia mia con una donna bellissima ed altrettanto inteligente, G.C. che resterà sempre nel mio cuore, ma che per colpa delle sostanze ho perso con una rapidità incredibile.
RANCORE, ovviamente perchè dopo anni di amore e lavoro duro per costruire tutto ciò, la droga che uso sempre come una scusa me lo ha portato via ed il fastasma diventava sempre più grande .
[grazie giusi per tutto ]……………
Come sempre ringrazio tutti voi per avermi ascoltato, grazie Nave.
martedì 20 maggio 2025
Un amico vero
Dicono che l’amicizia si presenti nei momenti di benessere, che quando tutto va bene tutti sono amici. Ma è la verità? Io ho notato che i veri amici si vedono nei momenti di difficoltà. Come per esempio la carcerazione, un periodo che mi ha mostrato nonostante la lontananza i veri amici, quelli che mi hanno fatto sempre sentire la loro vicinanza. Anche nei luoghi di sofferenza, come la galera, nel mio caso in un Paese lontano dal mio, è comunque possibile trovare amicizie vere, senza alcun secondo fine, ed è proprio condividendo le difficoltà che si diventa amici, con piccoli gesti che fanno la differenza.
Omar El Hmidi
Guardare sempre avanti
Cogliere i segni, le cose che ci accadono e ci fanno fare il saltino di qualità; crescere e non stare fermo con la mente! Cercare di vedere noi stessi come vediamo le persone che ci stanno attorno, o meglio vedere noi stessi con gli occhi degli altri, cercare di vederci dall’esterno, così da cambiare o per lo meno modificare i nostri comportamenti o modi di essere. Non rimanere fermo ancorato al passato, riuscire a sentire e ascoltare le emozioni, ossia noi stessi, riuscire a tornare lì dove ci siamo fermati, lì dove è successo qualche cosa che ci ha segnati e ci ha lasciato delle tracce, rimorsi, cose non dette, cose negative tutto ciò che ci ha reso quelli che siamo, o ci ha impedito in qualche modo di essere, di crescere e di andare avanti; superare le cose che ci fanno star male, non vivere nello stesso loop e riflettere all’infinito sugli stessi errori già commessi più volte! È vero, non possiamo e non dobbiamo farcela da soli, abbiamo bisogno di prendere e cercare di avere tutti gli aiuti necessari, però il primo passo da fare è indispensabile che lo facciamo noi, bisogna crederci. Solo se ci credi veramente puoi farcela e riuscire a superare tutti gli ostacoli e le insidie. È dura, ma vale la pena avere e non perdere la speranza. Fatevi delle domande, ma non datevi le risposte, cercatele! Le troverete, mettete assieme le parti che formano il tutto.
Pedro Gomes
La mia dignità
Quando sei in carcere, hai tanto tempo per pensare agli errori, alle belle cose, al passato e soprattutto al futuro. In carcere riacquisti i valori che hai perso fuori e ritorni ad apprezzare le piccole cose che fuori non contavano niente. Se potessi tornare indietro, sicuramente ascolterei e metterei in pratica quei consigli che ho sempre ignorato. Ho tanta rabbia con me stesso perché sono stato debole ed egoista, ho lasciato la mia compagna da sola, a breve dovevamo sposarci, ho lasciato mia madre che aveva tanto bisogno di me, mi sono sentito sempre forte, ma non lo sono per niente perché ho permesso a una polvere bianca di farmi perdere tutto, persino la mia dignità. Non potendo tornare indietro nel tempo, l’unica cosa che posso fare è rialzarmi imparando dai miei stessi errori cercando di essere più forte e di essere una persona migliore per poi, fuori da qui, iniziare una nuova vita e dimostrare a tutti e a me stesso che ce l’ho fatta.
C.F. Lacatena
L'indifferenza uccide
Penso che si possa essere indifferenti e no. Per esempio un giorno ero ospite di un mio amico italiano, era l’una di notte e io ero a letto e delle urla mi svegliavano: inizialmente facevo finta di niente e provavo a riaddormentarmi, ma quando le urla cominciavano a farsi più forti, non ho resistito e sono andato a vedere cosa stava succedendo nell’altra camera. Subito vidi altre due persone che stavano scappando dicendomi di andare via con loro perché c’era un altro ragazzo che stava per ammazzare il padrone di casa! In un primo momento volevo andarmene per paura, ma quando il ragazzo che stava subendo l’aggressione mi chiamò per nome, non riuscii a rimanere indifferente e a quel punto decisi di intervenire e vidi che stava reagendo a un coltello puntato alla gola, l’aggressore spingeva e io, subito, cercai di spostare il coltello, ma sfortunatamente mi colpì e mi prese alla pancia. Appena si accorse di avermi colpito, scappò e rimanemmo io e il mio amico, grazie alla mia non indifferenza, penso di averlo salvato, anche se in seguito io finii in ospedale e ci restai per una settimana con l’intestino perforato.
A. Khayal
Buio nella luce e luce nel buio
Tutto ciò che cerco è aggrapparmi a qualcosa che mi faccia star bene, anche se cerco la luce c’è sempre una parte di me che cerca di rovinare tutto. Non riesco a spiegarmelo, ma so per certo che è più facile mandare tutto all’aria perché questa parte buia che c’è in me, è devastante. Il dolore che mi sovrasta cerca le tenebre con cui avvolgermi e coccolarmi e questa sofferenza mi ha reso la persona che sono ora. Forte, ma con molte fragilità. Amo il dolore interiore che c’è in me, cercando di trasformarlo in qualcosa di positivo per me stesso, tutto ciò ti fa capire che in ognuno di noi c’è buio e luce e ci sono le persone che ti fanno sentire sbagliato. Quando ero bambino non mi sentivo considerato. Non voluto dalle persone a me care, sentivo molta indifferenza da parte loro nei miei confronti tutto questo mi ha portato ad alimentare la parte più buia che c’è in me. Crescendo, però, ho visto anche le persone care che provavano affetto nei miei confronti, ricevendo affetto da parte di una zia, di una nonna, di un fratello, di un cugino, di un padre e di amici e questo non permetteva alla luce interiore di spegnersi ulteriormente. Nel mondo in cui viviamo c’è sofferenza , felicità, invidia, malizia e provocazioni che cerco sempre di evitare ma la cosa mi è molto difficile. Cercherò di non permettere a nessuno di togliermi la luce che porto dentro di me sempre.
Issa Mbaye
martedì 29 aprile 2025
Come se non ci fosse...
Quante volte abbiamo evitato di pensare o agire perché “non ci riguardava” o perché “non era affar nostro”? Rimanere indifferenti ci costa molto meno in termini di responsabilità, di impegno e non ci costringe a schierarci, non traspare il nostro pensiero, ci tiene fuori da qualsiasi fatica. L’indifferenza non è omertà, non è ripudio, ma è una “reazione”, secondo me, legata anche al nostro bisogno di rimanere indenni da ogni emozione negativa, ci si protegge pensando che quello che ci accade intorno non debba scalfire la nostra emotività. Tutto ciò che non vogliamo sentire o vedere è schermato da una barriera che ci protegge dall’elaborazione dei pensieri legati ai fatti. Eppure tutto ciò che ci spinge a rimanere indifferenti è proprio il nostro coinvolgimento, anche passivo, è il modo di pensarla a una certa maniera, sono le nostre idee e la nostra educazione. L’indifferenza è un’arma che adoperiamo anche per ferire, quando la usiamo con evidenza e vogliamo che sia captata come tale, oppure per attirare l’attenzione di chi ci sta vicino e crede che la tua indifferenza sia una reazione a qualcosa che lo riguardi e quindi se ne interessa. In ogni caso, l’eloquenza di questa reazione mette in luce un limite che non si vuole superare, una precauzione che però, a volte, ci rende vili.
S. Catania
Fregarsene
Il veleno della società è l’indifferenza, il frutto del pregiudizio, siamo abituati a vedere una persona a terra e a calpestarla piuttosto che tenderle la mano, criticare le scelte di una persona piuttosto che ascoltarla, emarginare una classe sociale per i suoi usi e costumi piuttosto che comprenderli. Giudicare da etnia, orientamento sessuale o credo religioso è veramente giusto? Giudicare un ex detenuto o un tossico dipendente è giusto? Che cosa fareste se foste una di queste categorie, vi nascondereste in un sottotetto senza mai uscire per la paura di essere giudicati o essere deportati, vi siedereste agli ultimi posti sul bus o evitereste di stare in giro fino a tardi per la paura di essere massacrati o uccisi dalla polizia.? Il peggio è sentire i commenti al telegiornale anche sui temi di attualità quando si parla di carceri sovraffollati e i pregiudizi, che i detenuti dovrebbero marcire in galera o quando fanno vedere i barconi con persone disperate che fanno traversate per cercare una vita migliore e si sente sempre che dovrebbero stare a casa loro. L’indifferenza per persone in overdose, l’indifferenza per persone con le lenzuola al collo, l’indifferenza per un piccolo corpicino senza vita su una spiaggia, l’indifferenza per persone stipate in posti angusti ridotti alla fame e dopo eterne sofferenze soffocate col gas e date alle fiamme dentro i forni crematori, l’indifferenza per corpi di intere famiglie appesi a alberi e gli stessi corpi bruciati, l’indifferenza del pestaggio di persone solo perché gay, cosa faresti se fossi tu, se fossi una persona vicino a queste categorie di indifferenza. A causa del pregiudizio, per non sentire addosso le responsabilità si preferisce essere indifferenti.
Andrea Olla
L'affettività
Sul tema dell’affettività in carcere beh, se si intende la parola affetto o anche amore nel suo pieno significato su questo sono d’accordo, cioè, se un detenuto ha una moglie o una fidanzata anche in carcere può essere bello incontrarsi perché c’è un sentimento. Il sesso e l’amore sono due cose diverse per me. Non siamo animali e in carcere siamo trattati come tali; il solo sesso ok, ci starebbe, non dico no, ma senza affetto sarebbe solo uno sfogo per tenere più “calmi” i detenuti. Ok, ben venga e sono d’accordo, ma non parliamo di affettività, parliamo del diritto di “sfogare” un bisogno per chi non ha una compagna, insomma, sono a favore ma non la chiamerei affettività.
Fabio Montano
Essere indifferenti
Buongiorno a tutti, sono Maurizio! Come già in altri miei scritti mi sono presentato come una persona molto restia, questo mio modo di essere può trasmettere alle persone che mi circondano quando ci si ritrova in dei gruppi indifferente. In realtà se un argomento m’interessa ascolto molto, immagino i loro vissuti e mi immedesimo molto, parlo poco, incamero tutto ciò che mi fa riflettere internamente e lo raccolgo come un consiglio buono, utile per il mio cammino. Quando una persona racconta qualcosa, mi viene istintivo e spontaneo ascoltare, a volte guardare l’espressione del viso per capire se quello che dice è realtà o è solo una maschera, se è triste o felice, se il soggetto mi ispira fiducia mi fa piacere anche intervenire, ma al contrario, ascolto freddamente e indosso la maschera dell’indifferenza. Di fronte a una realtà magari raccontata da una persona vissuta con esperienza, posso cogliere buone motivazioni e incamerare consigli giusti, non è mai tardi per imparare e correggere il passato rinnovando il futuro, quel futuro che da tempo attendo. L’indifferenza per me non vuol dire fregarmene di alcuni contesti, ma accantonarli per dare spazio ai miei progetti senza distinzioni sul mio percorso; una volta raggiunto il mio scopo potrò magari dedicarmi anche a ciò per cui prima provavo poco interesse e mi era indifferente. L’indifferenza è come l’uguaglianza, puoi e non puoi provarla. L’indifferenza può far male, ma può anche far bene in alcuni casi, ma lì siamo noi che dobbiamo essere capaci di usarla al tempo giusto.
Maurizio Iavarone